Titolo: Rocco
Regia: Thierry Demaizière, Alban
Teurlai
Anno: 2016
Paese: Francia
Giudizio: 3/5
La pornostar più famosa al mondo,
Rocco Siffredi, si presta totalmente all’obiettivo per una
confessione fiume: da Ortona, il paese natale abruzzese, fino a
Budapest, sede della sua società di produzione, i casting a Los
Angeles e le riprese dell’ultimo film a San Francisco, sempre
accompagnato dal cugino Gabriele, caotico ma onnipresente
foto-operatore, assistente alla regia, autista.
La prima inquadratura mostra il cazzo
dell'attore sotto una doccia con un rallenty impressionante e
sfruttando una fotografia in b/n.
Tutti siamo invidiosi di Rocco Siffredi
e questo documentario in cui si racconta farà in modo che lo
invideremo ancora di più.
Rocco ha un puto fisso nella vita. Il
sesso.
Così ha deciso di non mascherarlo e di
basare tutta la sua vita su quello, facendo film porno e andandone
orgoglioso senza nasconderlo pur con qualche pensiero riguardo alla
moglie e alla crecita e il rapporto con il figlio.
Per il resto si è divertito portando a
letto più di tremila donne e arrivando alla sua età con un fisico e
una salute di tutto rispetto.
Il documentario funziona a tratti, alla
regia abbiano una coppia di francesi che scelgono il taglio giusto
per quanto concerne la messa in scena e le interviste, sondando però
solo in piccole analisi o commenti lo squallore di tutto il mercato e
l'industria che c'è dietro.
Spesso si pensa che le ragazze
soprattutto straniere accettino per problemi di denaro e povertà.
Sicuramente in alcuni casi è così ma parte delle interviste
mostrano che tante di loro vogliano far sesso e amino le situazioni
più bizzarre scegliendo ognuna una propria particolarità o
perversione che più le aggrada.
Rocco si racconta, la famiglia, la
madre, la morte del fratello, il cugino che si è sempre portato
dietro e che vive come un'ombra, arrivando però così anche al
limite più forte della docu-fiction.
Rocco si racconta mentre a tacere sono
purtroppo i tanti che popolano la sua vita dalla moglie ai figli con
cui si vedono solo attimi di pause ludiche senza peraltro dialoghi.
Il disagio alla fine per quanto la star
cerchi di non farlo trapelare è come una maschera indossata da ogni
attore sociale o che lavora in rete in questa consumazione di corpi
che sembra un grido agonizzante di chi cerca di salvarsi da un futuro
che non sembra concedere a chi non è così famoso spazi o
possibilità di redenzione.
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