Titolo: Onyricon
Regia: Joe Massot
Anno: 1968
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5
La vita del professor Collins è
piuttosto grigia e solitaria, perciò quando lo scienziato si accorge
che la sua vicina di casa è giovane e graziosa comincia a
fantasticare su di lei. Non osa proporle nulla di concreto e si
accontenta di imbastire storie incredibili con la propria
immaginazione.
Onyricon è un film folle e bizzarro, oggetto d’arte deliziosamente di serie B, figlio di una cultura yippie e in fondo un esercizio di stile di Massot che trovando l'espediente della storia si butta in un caleidoscopico viaggio psichedelico di colori e forme.
Il linguaggio è forse il mezzo più
semplice. Sulle note del sitar e di mistici strumenti indiani
percossi, soffiati, agitati da un George Harrison ispirato tutto di
trip cosmici e sensoriali la fruizione del film prima di tutto passa
dall'udito. Anche se sembra ruotare su se stesso (il muro come
metafora di una divisione politica e ideologica) il regista inglese
cattura alcuni fotogrammi che sembrano riportare alla pop art, al
Morrisey dei primi anni, una Jane Birkin che sfoggia tutto il suo
fascino e la sua bellezza e un finale dove il nostro scienziato dovrà
mettere da parte gli intenti sessuali per salvarle la vita, dal
momento che la povera Penny Lane, il nome è profetico come quasi
tutte le scelte nel film, incinta è stata abbandonata dal ragazzo e
sta pensando di togliersi la vita.
Un film assolutamente da vedere per
tutti gli amanti di un movimento psichedelico in cui la
cinematografia si è imposta in maniera solida, dando alla luce
centinaia di film sorprendenti come questi che seppur non hanno
ottenuto successo di critica e pubblico, hanno l'obbiettivo di creare
linguaggi, dare vita a forme, fotografia, scenari nuovi e in grado di
ampliare il nostro immaginario.