Titolo: Favolacce
Regia: D'Innocenzo brothers
Anno: 2020
Paese: Italia
Giudizio: 4/5
Una calda estate in un quartiere
periferico di Roma. Nelle villette a schiera vivono alcune famiglie
in cui il senso di disagio costituisce la cifra esistenziale comune
anche quando si tenta di mascherarlo. I genitori sono frustrati
dall'idea di vivere lì e non altrove, di avere (o non avere) un
lavoro insoddisfacente, di non avere in definitiva raggiunto lo
status sociale che pensavano di meritare. I figli vivono in questo
clima e ne assorbono la negatività cercando di difendersene come
possono e magari anche di reagire.
Chissà come lo avrebbe definito
Monicelli. Il secondo film dei fratelli D'Innocenzo dopo il
bellissimo Terra dell'abbastanza ha fatto molto discutere e parlare.
Forse troppo.
Si tratta di un dramma famigliare in
parte grottesco che scandisce su piani differenti (adulti e
ragazzini, giovani-adulti e adulti-giovani) paradossi, situazioni
tragicomiche, un film che colpisce duramente lo spettatore allo
stomaco ma soprattutto nelle psicologie così evidenti di un dramma
collettivo che ormai siamo abituati a respirare e a confrontarci
quotidianamente con la cronaca.
A differenza dei due giovani che
entrano in un mondo criminale che li devasterà, qui il dramma
essendo ancora più reale e tangibile sfiora il paradosso
nell'assenza totale di attenzione dei genitori rivolta ai propri
figli.
La normalità è ciò che dobbiamo
sentire quando i bambini di fronte agli ospiti elencano i loro 10 in
pagella, non quello che succede in altre occasioni dove ci si
confronta con la sessualità, con ciò che fingono di non vedere i
bambini nella fragilità dei loro genitori.
"Sei il miglior padre del mondo"
questa frase scandita dalla moglie nei confronti del compagno che non
lavora da tempo ma che compra una piscina per vantarsi con il
circondario per poi bucarla e dare la colpa agli zingari. Tutte
queste situazioni che sembrano a prima vista surreali in realtà
fanno parte di un grottesco concetto di normalità presente da sempre
nella nostra comunità.
E allora cosa devono fare i figli per
trovare una via d'uscita in una macro dimensione che in realtà gli
vuole precisi e perfetti?
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