Titolo: Berberian Sound Studio
Regia: Peter Strickland
Anno: 2012
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5
Gilderoy, un ingenuo ingegnere del suono di Dorking, in
Inghilterra, perde gradualmente il contatto con la realtà durante le riprese di
un film horror italiano degli anni Settanta. Mentre le attrici si prodigano in
urla laceranti e le lame si abbattono su verdure innocenti per produrre gli
effetti sonori del caso, Gilderoy dovrà affrontare i propri demoni per non
soccombere in un ambiente dominato, fuori e dentro il set, dalla logica dello
sfruttamento.
Signori. Inutile dire che questo Strickland al suo quarto
film è più che mai da tenere in considerazione. Berberian Sound Studio è
tutt’altro che un film semplice per struttura, stile, scelte e sensazioni che
sembrano sempre mutare e farti venire tutta una serie di domande che
accompagnano il timido protagonista. Un film che ha una sua struttura e
un’amore dichiarato per un certo cinema italiano che non lascia spazio ad altre
interpretazioni. Ultimamente ci ha provato, anche se con molto più humor ed
elementi splatter il canadese THE EDITOR. Il problema di questo omaggio al
neo-gotico italiano e che pur volendo puntare a un soggetto cinematografico
privo di cotè autoriale, e con una squadra di attori altamente eterogenea per
provenienza e stile di recitazione, composta da artisti di fama internazionale
come il britannico Toby Jones.
Il film non riesce proprio laddove ci si aspettava un climax
potente che squilibrasse il tono troppo rigido e compiaciuto del film. Se è
vero che tutta l’azione e le scene si concentrano in interni e quasi
esclusivamente nella sala di montaggio, è anche vero che ad un certo momento la
claustrofobia che attanaglia lo spettatore non trova una valvola di sfogo e di
salvezza, soprattutto per Gilderoy e la sua espressione neutra finale, che
sembra suggerire un colpo di scena o forse solo un’accettazione di quello che
in fondo aveva sempre temuto ma da cui non poteva fuggire.
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