Dopo aver fatto i conti col suicidio del fratello maggiore e tentato di salvare l’incasinatissimo ristorante di famiglia, Carmy ha finalmente la possibilità di avviare un’attività nuova di zecca e, si spera, all’altezza del suo talento.
Bear riesce a fare ancora meglio della prima stagione e non era affatto semplice. I misteri per cui questa serie riesca a creare una così forte dipendenza restano in parte chiari e in altri celati grazie a meriti della produzione, della regia, degli scenografi, del cast, insomma delle maestranze che la compongono.
A differenza della prima si allarga e ci porta nel passato di Carmy conoscendo il fratello e gli altri componenti della famiglia allargata con un episodio che spiega meglio alcuni intrecci familiari davvero esplosivi per quanto possano diventare assurde alcune relazioni tra parenti serpenti.
Ci porta poi in Danimarca per farci conoscere la formazione di Marcus grazie all'aiuto di uno chef davvero insolito e bizzarro che ha perso tutto in passato scontrandosi contro Carmy.
Proprio su di lui sembrano puntare meno i riflettori scommettendo su una narrazione molto più corale ed equilibrata vincendo ogni scommessa e regalando pathos, vicende familiari, storie d'amore, perdite, lutti, competizioni, amicizie, tutto senza risultare mai posticcio e senza risultare melenso ma anzi esplodendo sempre da un momento all'altro come è solito nel meccanismo di questa serie. Ovvero nel suo ritmo spaventoso, in questi dialoghi quasi sempre urlati, con personaggi che sembra debbano avere un esaurimento nervoso da un momento all'altro e quella quiete che quando arriva dopo la tempesta porta lo spettatore a riprendere fiato, sorridere e commuoversi.
Nessun commento:
Posta un commento