Dwight “The General” Manfredi è un mafioso di New York che, dopo 25 anni di reclusione, esce di prigione, ma viene esiliato dal suo boss. Inizia a gestire un negozio a Tulsa, la seconda città più grande dell’Oklahoma. Manfredi crea la sua banda.
E' vero non stiamo parlando di un capolavoro o di una serie che rimarrà nella storia ma Tulsa ha due pregi: scorre divinamente ed è scritta bene oltre che interpretata.
Un crime drama, una mafia movie, che cerca di uscire dalle convenzioni solite unendo dramma, ironia, azione, sotto trame ben articolate e la storia di un mafioso old school dalla battuta sempre pronta e in grado di non farsi mai cogliere impreparato catapultato in una realtà a lui avulsa che lo vede come un pesce fuor d'acqua.
Da qui il lavoro di un team che fa la differenza e parliamo di Taylor Sheridan e Terence Winter, sceneggiatore e showrunner che sanno sviluppare la narrazione bilanciandola sempre e passando da un estremo all'altro con assoluta leggerezza. Da notare come in tutta la serie ci siano pochissimi morti e il sangue quasi non si vede, mentre invece vedrete molta più gente fumare erba legalizzata, entrare nei conti correnti di famiglie criminali e svuotarli e infine con l'arrivo di Dwight l’insinuarsi della corruzione in una cittadina apparentemente onesta. Grazie ad una crew di loser dall'eccentrico autista afroamericano Tyson, al ruvido barista Garret Hedlund, dallo strafumato venditore di marijuana Bodhi e alla tormentata poliziotta Stacy, la quale sviluppa un debole per i gangster, nonchè un barista ex veterano di guerra con cui entrerà in affari, la storia mette insieme diversi elementi spalmandoli in nove episodi che viaggiano con un ritmo notevole espandendo il racconto e i confini anche nei territori della sua famiglia criminale, guidata dal padrino Pete Invernizzi e dal figlio Chickie, e infine la famiglia vera, da cui Dwight si è separato accettando di scontare venticinque anni di carcere per coprire il suo boss.
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