Titolo: Color out of space
Regia: Richard Stanley
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
La famiglia Gardner si è appena trasferita nella campagna
del New England quando un meteorite si schianta nel loro giardino. Tutto ciò
che li circonda si tinge di strani colori che nascondono inquietanti misteri.
Negli ultimi anni Lovecraft è sulla bocca di tutti. In un
certo qual modo viene citato e omaggiato in svariati horror quando si accenna
anche solo ad un tentacolo o ad una vaga allusione circa l’orrore cosmico.
Mancava nell’ultima decade un film che si confrontasse
direttamente e apertamente con lo scrittore di Providence. Per cui ci troviamo
tre nomi Whalen, Noah e Wood di cui l’ultimo è il famoso attore che negli
ultimi anni sta ritrovando una spiccata voglia di investire su progetti horror
indipendenti e complessi.
I primi due invece negli ultimi anni hanno prodotto film
molto anarchici e grotteschi come Mandy, Cooties, Greasy Strangler. David Keith
aveva già provato nel 1987 con Fattoria Maledetta a cimentarsi con l’opera
complessa sviluppando un film sofisticato per l’epoca dove “Vermi,
putrefazioni, bubboni e ogni tipo di elemento rivoltante facevano da
contraltare a un inizio che scorre apprezzabilmente pur con qualche sbando alla
regia”. Era un esperimento interessante con un budget abbastanza limitato e uno
studio meno accurato per quanto concerne la fotografia e l’atmosfera che invece
in questa pellicola fanno da padroni infarcendo il film con tinte violacee e
fucsia ed esseri purulenti e tutto il sangue nero dello spazio possibile.
Trasformazioni fisiche ed esterne, una natura che diventa
extraterrestre, corpi deturpati e con escrescenze che si insinuano dappertutto,
una cometa che infetta un pozzo che infetta l’acqua che trasforma una famiglia
e la loro casa in una tana di presenze immonde e orrori indicibili.
Color out of space si dipana ovunque accresce le sue
radici del male verso un finale estremo e splatter dove gli umani perdono e il
male ottiene i suoi frutti facendoli implodere nei corpi devastati di ognuno
dei presenti. Un film sulla trasformazione che avviene dall’esterno ma che
contamina tutto ciò che può esserci di buono e allo stesso tempo sprigiona e
rende manifesti sentimenti repressi e una voglia incontenibile di esplodere.
Stanley che ho sempre apprezzato anche nei primi lavori e in tutto ciò che ha
fatto (assolutamente sì anche Isola perduta nonostante l’abbiano cacciato dopo una settimana) ha
creato b-movie a gogò di cui questa è la parte più putrida, la vera radice da
cui speriamo che rinasca con una nuova filmografia votata all’horror puro e a
quell’indicibile, quella scommessa che si pensava già persa, ovvero di riuscire
a trasporre l’opera come se fosse una sorta di maledizione a cui tutti erano
condannati. Stanley ci è riuscito addirittura infilando un attore come Cage che
non ha cercato di mettersi in prima linea ma ha saputo rimanere in disparte e
dare modo all’atmosfera di essere l’unica protagonista.
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