Titolo: Destruction babies
Regia: Tetsuya Mariko
Anno: 2016
Paese: Giappone
Giudizio: 4/5
Mitsuhama,
una noiosa cittadina portuale in Giappone. Abbandonati dai genitori, Taira e
Shouta Ashiwara, due fratelli adolescenti, abitano in un cantiere navale in prossimità
del mare. Taira si azzuffa spesso con studenti provenienti da altre parti della
città, ma un giorno ha la peggio e scompare. Mentre Shouta lo cerca
dappertutto, Taira, spinto dal proprio ego ostinato che rifiuta la sconfitta,
si imbarca in un viaggio di violenza attraverso le strade della città, alla
ricerca di altri contendenti da battere
Il film sembra una costola impazzita di Crow Zero II oppure Agitator, insomma quei missili disobbedienti e cult istantanei
del maestro nipponico Mike Takashi che venero da ormai circa trent’anni avendo
visto praticamente tutto tra rassegne e avendo avuto modo di conoscere di
persona il maestro. Il cinema giapponese tra i primi in assoluto ha saputo
consolidare l’arte di saper fare cinema che viene alle mani e che sa come
picchiare e rendere realistiche scorribande giovanili e massacri tra
appartenenti alla yakuza.
Tetsuya Mariko che non so in quali rapporti
sia con Takashi, crea un suo mondo ibrido desolato dove l’esistenza sembra
ormai una piaga e la noia e la disillusione diventano importanti scenari in cui
imbastire e proliferare il proprio caos esistenziale interno. Il vuoto assoluto
del protagonista, della società, che in Giappone assume proporzioni estreme, si
esprime in un grido disperato verso il bisogno di essere vivi e Taira sceglierà
di esprimere il suo disagio in una lotta impari contro chiunque attraversi la
sua strada prima di impazzire del tutto e inquadrare un altro nemico “ovvero la
donna“. Destruction babies è la deriva anche dei social dove tutto viene
filmato e condiviso, dove il bisogno di mostrarsi passa sempre di più
attraverso imprese ai limiti della legalità e del buon senso. Dove ormai i like
richiedono prove estreme di sacrificio o di brutalità e in questo caso la
seconda parte del film, quando interviene quello che poi diventa il
co-protagonista, il suo seguace Yuya che impazzirà del tutto, allarga la
metafora del film inquadrando altri obbiettivi e diventando ancora più brutale
nella sua desamina di un vuoto culturale e di un abbandono fisico e sociale in
cui il governo è il primo responsabile.
Il germe della follia una volta che
attecchisce può portare altri individui repressi ad esplodere? Ebbene sì e il
cinema nipponico c’è lo ricorda di continuo.
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