Titolo: Wounds
Regia: Babak Anvari
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Un telefono in un bar porterà a
sconcertanti conseguenze
Finalmente dopo tre anni torna uno dei
registi emergenti più interessanti in circolazione.
Dopo la fiaba iraniana sui Djin, Under the shadow, Anvari torna con un soggetto molto più ambizioso. Un
film complesso e stratificato che mette nello script tanti elementi,
i portali, lo gnosticismo, le allucinazioni, visioni, tutto in un
contesto che sembra molto normale, un locale con la sua solita
clientela, per poi far affiorare da questo cellulare abbandonato un
vero e proprio caos che aumenta vertiginosamente per trasformarsi in
orrore puro.
Devo dire che il talento del regista
non si discute, un film scomodo che ho addirittura preferito al
precedente, per quanto il folk horror sia uno dei miei sotto generi
preferiti, dove il talento di Hammer e il personaggio scomodo di
Will, detestabile per tanti fattori, emerge in tutta la sua
virulenza. Eppure diventa uno di quei protagonisti con cui l'empatia
per quanto scomoda c'è.
Will vorrebbe a tutti i costi violare
la sua monotonia senza farsi scrupoli a provarci con una cliente con
tanto di fidanzato appresso. L'idea del cellulare è funzionale in
parte nel film, creando anche in questo caso un attacco contro i
media e l'intrusività massiccia ed effettiva nelle nostre vite.
Da qui poi il discorso si allunga in
maniera cronemberghiana facendo diventare il telefono un vero e
proprio mostro che sembra diffondere un male assoluto che non tutti
possono percepire, sempre se si sceglie di percorrere questa trama.
Dai clienti che perdono pian piano la
faccia, eserciti di scarafaggi, rapporti tormentati e video assurdi,
macchine che inseguono e in tutto questo l'alcool a fare da padrone e
il suo peso specifico, le magliette che preferiamo non cambiare mai e
ferite che crescono senza capirne il perchè.
Wounds letteralmente ferite, è
micidiale, proprio in quei colpi sotto la cintura che ci propina ogni
manciata di secondi, un horror psicologico come ormai in questi anni
è pieno, con tanti difetti ma con una messa in scena e un ritmo
devastante per come porta tutto agli eccessi, anche eccessivi, ma mai
fuori luogo, dove tutto per quanto possa sembrare assurdo mantiene
una sua coerenza narrativa, un braccio di ferro tra l'inspiegabile e
il reale o quello che noi presupponiamo che sia. Anvari spinge il
pedale sull'atmosfera, sul disagio, sulla paranoia, su come Will
perda proprio tutto e infine un'analisi mica da ridere sui rapporti
di coppia e su quel vuoto che come una caverna nera e statica sembra
uscire dagli smartphone, dai pc, rendendo ancora più grigie le
nostre vite.
Nessun commento:
Posta un commento