Titolo: Haunt
Regia: Scott Beck, Bryan Woods
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Ad Halloween, un gruppo di amici
convinti di partecipare ad un gioco "escape room" si
ritrovano in intrappolati da un gruppo di assassini che metteranno in
scena le loro paure più profonde. La notte si tinge di morte e gli
incubi diventano realtà.
Haunt ha una locandina così bella che
non potevo davvero esimermi dal non gustarmelo a dovere, magari
proprio ad Halloween, quando il film è ambientato, sperando di
vedere qualcosa di buono. Così non è stato. Haunt premetto, non è
una ciofeca, ha un solo asso nella manica e riesce a gestirlo molto
bene ma per il resto è tanta roba già vista almeno da chi come me e
pochissimi altri è diventato una sorta di martire del cinema,
facendosi male in molteplici occasioni, divorando e diventando un
cinefilo patologico.
La casa degli orrori, un gruppo di
ragazzi che speriamo di veder morire molto in fretta e alcuni
psicopatici mascherati. Il jolly arriva a metà film, quando questi
killer seriali si tolgono le maschere e sotto i volti riescono ad
essere ancora più spaventosi. Punto.
Il resto gioca su alcuni momenti nemmeno
così malvagi se non fosse che manca quel ritmo, quel gioco al
massacro che bisognava mettere in scena, alcune scelte discutibili da
parte di una certa morale di alcuni di questi mostri mascherati.
Una protagonista che fin da subito
sapremo dove andrà a parare e che abbatterà praticamente senza
esitazione durante l'arco narrativo (che praticamente accade anche
per un'altra eroina in un film che ho visto subito dopo, la Kayla di Furies)
La festa di Halloween, 31, Escape Room,
HELL FEST, BLOOD FEST, Haunt per attenzione è un po come quei film
che non solo non hanno avuto distribuzione ma sono passati in sordina
destinati a non essere visti o ad essere dimenticati troppo
velocemente. Perchè in fondo anche gli arrangiamenti del film a
parte qualche tortura convincente, qualche jump scared al punto
giusto e quel non-sense nelle mosse degli aguzzini che potrebbe
diventare un'arma a doppio taglio.
I due sceneggiatori di A quiet place indugiano ma allo stesso tempo fanno di necessità virtù lesinando
sulle spiegazioni e lasciando tanta aria di mistero, senza stare a
svelare alcuni perchè che in fondo avrebbero fatto peggio. La carta
del non detto, della strada aperta, del non fornire una spiegazione
diventa funzionale anche se in alcuni momenti puzza di furberia per
smarcarsi da alcuni trappoloni dietro l'angolo.
Le maschere archetipiche poi hanno la
loro importanza anche se mi sarei davvero aspettato qualcosa di più.
Quello che c'è dietro ancora una volta fa molta più paura.
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