Titolo: Felt
Regia: Jason Banker
Anno: 2014
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Amy è una giovane donna che sta
provando a superare sia un trauma passato sia le aggressioni che
subisce quotidianamente dagli uomini che la circondano. L’unica via
di fuga sono per lei un progetto artistico sempre più scandaloso e
degli alter ego che la isolano dai pochi amici rimasti ma che almeno
le placano il dolore. L’incontro con Kenny, un ragazzo dolce e
premuroso, le darà per un po’ l’illusione di un futuro migliore.
Non ho mai visto così tanti cazzi come
in questo film. O meglio uno su cui gravita tutta la storia e su cui
si concentra parte del trauma della protagonista.
L’attrice e co-sceneggiatrice sembra
abbia riversato nel film la sua esperienza di vita e il suo modo di
elaborare il trauma dovuto ad una violenza sessuale avuta in
precedenza.
Il mio amore per il cinema indie non
finirà mai. Aspettavo, certo non trepidante, il secondo film di
Bunker dopo il già recensito Toad
Road.
Di nuovo l'incubo e di nuovo l'orrore,
qui nella sua quotidianità spostandosi da caverne dove assaggiare
droghe sintetiche, a parchi, case sugli alberi e una città dove
ormai non si ha più vergogna di nulla.
Bunker racconta l'orrore del mondo
giovanile ormai privo di valori e completamente allo sbando. Le
azioni e i comportamenti anti sociali di Amy fanno davvero
impressione durante la visione diventando al limite dell'eccesso e al
confine con ciò che è lecito mostrare.
Bunker avvezzo al genere, regala forma
e dimensione con un budget molto ridotto e facendo ricorso a pochi
elementi, ma studiati alla perfezione, tantissimi dialoghi che ad una
prima impressione sembrano improvvisati ma solo in parte, i diversi e
grotteschi costumi di Amy e infine la sua passione per l'arte fetish
(ma è azzardato definirla così).
Un film che nell'ultimo atto, il
rapporto con Kenny, colpisce meno duro ma Bunker è uno tosto e il
finale non potrà che distruggere in senso positivo quanto seminato
da Kenny.
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