Titolo: Blackkklansman
Regia: Spike Lee
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Anni 70. Ron Stallworth, poliziotto
afroamericano di Colorado Springs, deve indagare come infiltrato sui
movimenti di protesta black. Ma Ron ha un'altra idea per il suo
futuro: spacciarsi per bianco razzista e infiltrarsi nel Ku Klux
Klan.
L'ultimo joint di uno dei maestri del
cinema americano non smette di perdere la sua carica eversiva e
ironica.
Un film grottesco, parecchio crudo e
razzista, che senza celare nulla della sua facciata iniziale, manda
avanti un'indagine, un caso che sembra qualcosa di assurdo quando poi
invece scopriamo che è esistito eccome e che come forse vorrebbe
dire Lee potrebbe risuccedere anche oggi.
Un film diverso dai soliti che sceglie
sempre una narrazione secondo i suoi canoni e legato ad una poetica
iconoclasta che punta a dissacrare i luoghi comuni della società
bianca o gli errori del passato che per tanti diciamo che errori non
sono stati e ora più che mai vorrebbero tornare in auge.
Senza avere quei voli pindarici su
un'azione e alcune scene di violenza efferata come capitava in altri
suoi film, il regista si confronta proprio con aspetti più
controversi burocratici e amministrativi che altro, mettendo tutto in
mano ad una coppia di attori che riescono nella loro semplicità ad
essere quanto più diretti possibili.
Lee da sempre coglie degli aspetti nel
suo cinema che ne fanno un artista in grado di evidenziare quei
particolari che non sembrano interessare a tutti.
E lo fa sempre di più andando
controcorrente dai tempi di FA LA COSA GIUSTA nel suo immaginario
dove bianchi e neri vivono assieme odiandosi fortemente.
Nel 2018 anche se la vicenda è
ambientata negli anni '70, Lee ci dice che il razzismo non è mai
finito anzi, sembra essere l'incipit di ogni suo film e il suo
immaginario negli anni è stato fortemente diviso e diverso dagli
altri che si misuravano sui film con tematiche razziali.
La sua politica è sempre stata
antagonista ad un certo tipo di sogno americano radicale ed
esteticamente dirompente, scegliendo e spesso mostrando invece la
semplicità con cui la comunità afro sembra non solo averci fatto
l'abitudine, ma sbeffeggiandola e deridendola al contempo stesso.
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