Titolo: I am not a witch
Regia: Rungano Nyoni
Anno: 2017
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5
A seguito di un banale incidente nel
suo villaggio, la piccola Shula, di 8 anni, viene accusata di
stregoneria. Dopo un breve processo e la successiva condanna, la
bambina verrà presa in custodia ed esiliata in un campo di streghe
nel mezzo di un deserto. Giunta all'accampamento prenderà parte ad
una cerimonia di iniziazione dove le viene mostrato il regolamento
che scandirà la sua nuova vita da strega. Come le altre residenti,
Shula è costretta a vivere legata ad un grande albero dal quale è
impossibile staccarsi. La pena per chi disobbedisce sarà una
maledizione orribile, che trasformerà chiunque tagli la corda in una
capra.
Per chi avesse ancora dei dubbi su come la settima arte riesca a osservare e inquadrare il mondo sotto prospettive e analisi diverse, beh questo come tanti altri documentari dovrebbe per lo meno far riflettere. Sembra una fiaba, un racconto nero, di sicuro un calvario che come a Shula, capita a numerosissime donne e bambine (senza dimenticarci di cosa succede agli albini in Africa) e dove tutto in fondo appartiene alla cultura locale, alla magia, alla potenza della stregoneria e di altri strumenti per legare le masse attorno a un sistema simbolico organizzatore di senso.
Quella che Nyoni racconta o denuncia è
una storia straziante che vede questa piccola e straordinaria, nonchè
coraggiosissima bambina, diventare la vittima sacrificale, il capro
espiatorio, per risolvere dispute e problemi locali legati a tutta
una serie di motivazioni che stanno alla base di eventi climatici,
mal gestione del paese e un odio spropositato verso ciò che potrebbe
cambiare le sorti della comunità.
Bambina o donna, anziana o albina,
chiunque si trovi in una situazione di pericolo, in un clima che
sembra parossistico dovrebbe aver paura.
Nyoni, pur confezionando un horror per
certi versi, ricorre in modo formidabile ad un'ironia impertinente
come solo il coro di donne sanno fare, che assume dei tratti da
favola surreale e tragicomici sotto vari aspetti.
La burocrazia e le regole delle forze
dell'ordine che si scontrano con le regole inossidabili della tribù
che è Lei a decidere cosa bisogna e cosa deve essere fatto e come
soprattutto "estirpare il male alla radice" della bambina.
Shula appunto accusata di stregoneria,
viene nel vero senso della parola “internata” in un campo dove
sottili nastri bianchi svolazzanti vengono attaccati come una specie
di giogo alla schiena delle donne, come conseguenza di superstizioni
troppo ancorate alla cultura locale.
Shula diventa la piccola Giovanna
D'arco dello Zambia, come monito di un martirio senza alcuna traccia
o intenzione di compassione, con un’inumanità resa ancora più
aberrante dal sorriso di chi è convinto della propria legittimità.
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