Titolo: Grass Labyrinth
Regia: Shuji Terayama
Anno: 1983
Paese: Giappone
Giudizio: 5/5
Akira è un giovane ragazzo che deve
sfuggire alle mire di una ninfomane tentatrice. Il suo unico modo
sarà quello di dare ascolto a sua madre per non lasciarsi catturare
Nell'anno della sua morte Terayama, uno
degli esponenti maggiori del surrealismo cinematografico giapponese,
ci lascia questo mediometraggio di una potenza visiva
indimenticabile.
L'exploitaion giapponese. Un
mediometraggio che registi come Miike Takashi conosceranno a memoria.
Uno scenario esteticamente delizioso e
grottesco, dove le creature della mitologia nipponica, emergono in
una galleria che alterna pulsioni di vita e di morte.
Una strega, una ninfomane che invece
cerca con le sue armi, una melodia che rischia di far impazzire, di
strappare l'umile Akira, ancora vergine, dall'unica donna in grado di
salvarlo, appunto sua madre, in un rapporto dai risvolti edipici
molto complessi.
Un piccolo e delizioso cult,
completamente assurdo, senza una vera e propria trama, ma lasciando
anche parte del cast nelle roccambolesche scene da teatro kabuki a
trovare una loro complicità e forza che non manca mai di risultare
visivamente estremamente complessa e affascinante.
Dal punto di vista tecnico poi la
scenografia e la fotografia cercano di aumentare soprattutto i colori
passando per forme naturali e artificiali che si mescolano puntando
in particolare al rosso e al giallo.
C'è davvero tanta musica che insieme
alle scene di sesso, folli anch'esse, aumentano quella sorta di
oniricità tra sogni immersi nella confusione temporale, dove tutto
accade in un'atmosfera che non viene e non deve essere mai chiarita.
Un'esperienza ancora una volta non
convenzionale per un cinema anarchico fino al midollo come solo
quello di alcuni artisti giapponesi.
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