Titolo: Let me make you a martyr
Regia: Corey Asraf, John SwabJ
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Drew Glass fa il suo ritorno in città,
imbattendosi presto con il padre adottivo boss del crimine locale, la
sorella adottiva (e amante) dipendente dal crack, un addetto ai
parcheggi delle roulotte tossicodipendente, un prete cieco con un
segreto, una ragazzina scomparsa e un killer solitario da ingaggiare.
Ogni passo che Drew muove lo riporta inevitabilmente al suo
complicato passato.
Cinico, sporco, maledettamente
drammatico e destinato ad essere crudele ed efferato, almeno questa
era l'idea che mi ero fatto quando sono venuto a conoscenza di questo
strano indie sconosciuto da noi. Il noir, il southern drama, della
giovane coppia di registi indaga in questa piccola cittadina
americana popolata da bifolchi, una sottocultura di individui che
vivono secondo delle regole e dei codici particolari.
Spacciatori, tossici, killer
professionisti, signori della droga. Praticamente mezzo cast della
serie tv Sons
of Anarchy, per chi ha
avuto la forza di vederla tutta, assieme a Marilyn Manson in veste
cinica e crudele che d'altro canto aveva recitato anche lui nella
serie citata ritagliandosi un personaggio minore in tutta la parte
legata al carcere.
Non c'è redenzione e non c'è salvezza
per questo film e per i suoi protagonisti. Già il titolo originale è
profetico ma la disperazione e l'intento salvifico del protagonista e
della sua scelta per amore nei confronti della sorellastra lo porterà
in un vortice di violenza e sopraffazione davvero spietato.
Ora tanti elementi squisitamente di
genere, marcati e sporchi, sono sicuramente tasselli interessanti ma
purtroppo sanciscono il primo limite in termini di sceneggiatura
del duo di registi.
Pur avendo degli intenti da western
moderno indefinito, noir e southern drama in chiave leggermente pulp,
il risultato in termini di ritmo è abbastanza noioso come se i
registi cercassero di trovare la propria voce raccontando una storia
coerente ma che invece mostra una galleria disarticolata di
personaggi anche molto interessanti sui cui la caratterizzazione non
riesce a fare il suo lavoro. Mi ha ricordato per altri spetti parlando
di droga il recente Heaven
knows what di Safdie con
cui aveva nell'atmosfera legata alla perdizione della sua
protagonista diverse analogie.
I due autori invece di giocarsi la
carta della violenza cool e del country pulp ingabbiano il loro film
dentro un’impalcatura iper drammatica, mettendo in bocca ai loro
personaggi parole pesantissime e retoriche sulla salvezza e il
riscatto e condannandoli ad una spirale di pessime e disperate scelte
che finiscono per risultare quasi ridicole. A differenza di questo e
comunque volendo esagerare con la drammaticità per rimanere in
questa westland mi viene in mente un film uscito qualche annetto fa
Ain't
them bodies saint
riuscendo ha fare molto meglio.
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