Titolo: Message from the King
Regia: Fabrice du Welz
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
Jacob Kin arriva in città dal Sud
Africa, alla ricerca della sorella minore. Ha solo poche centinaia di
dollari in tasca e un biglietto di ritorno che scade dopo una
settimana. In sole 24 ore, scopre che la ragazza è stata brutalmente
assassinata. Il film parla di quello che avviene nei successivi sei
giorni.
Du Welz è uno dei miei registi
post-contemporanei preferiti. Ha girato una trilogia indimenticabile
con CALVAIRE, Vinyan
e Alleluia.
Semplicemente sono tre film complessi e importantissimi, tre sguardi
che richiamano l'horror per le loro atmosfere e le loro storie molto
inquietanti e originali.
Poi sappiamo che il talento belga ha
avuto diversi problemi con le produzioni, diventando un regista cult
amato e beniamino dei festival, mentre dall'altra parte stava
diventando sempre più difficile produrre le sue opere che seppur
vero a livello di cinema di genere sono opere colte e complesse
facendo incetta di premi, dall'altra a livello commerciale non hanno
saputo vendere come e spesso il cinema ha bisogno essendo di fatto e
prima di tutto un mercato.
Colt
45 è un poliziesco teso
e spietato con una fotografia magnifica, uno script già meno
originale e onirico oltre che ipnotico rispetto a i suoi precedenti
film, ma con un finale devastante e un buon manipolo di attori. In
questo caso la trama è ancora più asciutta con pochi ma potenti
colpi di scena tra cui l'incidente scatenante e una giustizia
privata abbastanza funzionale nel cercare percorsi nuovi soprattutto
nella psicologia del protagonista, le sue strategie e il doppio
gioco dei suoi stessi nemici. Una storia abbastanza scontata che
gode di alcune buone prove attoriali con un nutrito cast che vede
alcuni volti noti e lo stile sporco di camera e fotografia che il
regista adotta al meglio nei bassifondi di Los Angeles lasciando da
parte tutte quelle impressionanti location e atmosfere di Vinyan.
Qui come per Colt
45 la città non è
un'isola selvaggia anche se in questo le bande di criminali e gli
spietati affaristi che si nascondono nelle loro lussuose ville
nascondo orrori a volte così indicibili che a confronto la natura
per quanto selvaggia si rivela sempre in fondo meno contorta
dell'animo umano. La sua prima regia yankee dunque non è stata così
becera come si poteva pensare anche se si vede che il talento e la
politica dell'autore nelle sue ultime opere esce poco. Ma pur di
vedere ancora il talento belga preferisco che continui a fare cinema
in America magari dando coraggio e fiducia ad uno dei suoi progetti
personali.
"Ho avuto però la possibilità
di girare quanto mi ero prefissato nel modo in cui l’ho pensato e
ho avuto un certo controllo sulla produzione. La post-produzione
invece è stata più difficile, tutto un altro gioco, a causa delle
molte voci che interferiscono, dai sindacati alla DGA (Directors
Guild of America). Hai a disposizione 10 giorni per realizzare la tua
directors’cut, dopodiché subentrano i produttori, che guardano il
materiale e decidono. Inoltre devi occuparti del montaggio,
comprensivo del suono e della colonna sonora, quindi non c’è modo
di fare le cose con calma passo per passo … A un certo punto
comunque, i produttori prendono il sopravvento e tutto diventa molto
complicato. Questa cosa però va accettata, perchè funziona così da
quelle parti. "
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