Titolo: Shelley
Regia: Ali Abbasi
Anno: 2015
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5
Louise e Kasper sono una coppia sposata
che è pronta ad avere un figlio, ma Louise scopre con dolore di non
poterne avere.
Alla fine la donna, in preda alla disperazione, decide di suggellare un patto con la sua cameriera rumena, Elena, che accetta di portare in grembo il figlio di Louise come madre surrogata in cambio di una grande quantità di denaro . Ma la vita che cresce dentro Elena prende forma troppo velocemente, colpendo la vita di ognuno come una forza maligna pronta a distruggere ogni cosa.
Alla fine la donna, in preda alla disperazione, decide di suggellare un patto con la sua cameriera rumena, Elena, che accetta di portare in grembo il figlio di Louise come madre surrogata in cambio di una grande quantità di denaro . Ma la vita che cresce dentro Elena prende forma troppo velocemente, colpendo la vita di ognuno come una forza maligna pronta a distruggere ogni cosa.
ROSEMARY'S BABY a quasi cinquant'anni
dalla sua uscita continua ad essere il punto di riferimento di tutta
quella branchia di cinema che tratta il tema della gravidanza e della
possessione.
Nell'epoca dei drammi sempre più
intimi, Shelley riesce a trovare un prezioso spazio mischiando dramma
e orrore legato alla paura della nascita e del travaglio accompagnato
ad un lavoro autoriale che sfruttando l'archetipo dell'horror mostra
e allarga i confini sui rapporti sociali complessi
Due protagoniste che si dimostrano
all'altezza delle parti in particolare Ellen Dorrit Petersen, BLIND,
un volto che ha la capacità di perturbare la scena diventando
impossibile da dimenticare.
L'altro culturale come strumento per
ottenere i propri fini, da un lato la ragazza madre di Bucarest che
diventa la madre surrogata, dall'altro la famiglia da preservare,
l'invidia, l'incubo di non poter dare alla luce il proprio bambino.
Shelley, un nome emblematico che
vorrebbe citare apertamente l'autrice di Frankenstein, ci porta
nuovamente in una Danimarca rurale, tra campagne e spazi spogli e
solitari, un paese e un territorio su cui ultimamente ci sono stati
importanti passi in avanti sul cinema di genere.
Diretto poi da un regista iraniano, il
film dalla sua ha una messa in scena lenta e patinata, tanta
telecamera a mano, una location, tre attori, un'atmosfera che cerca a
dare sempre più ambiguità e mistero alla storia e ancora la natura
come paesaggio e come scenario dove consumare il dramma.
L'elemento che funziona maggiormente
nel film è proprio l'orrore che lo spettatore percepisce
consumandosi lentamente, lasciando sempre una sorta di vaga
impressione che da un momento all'altro debba succedere qualcosa di
deflagrante. Qui lo spettatore viene colpito maggiormente rendendosi
conto della realisticità e della sofferenza legata alle azioni della
sua protagonista e dell'attualità per certi versi della tematica
trattata.
L'invidia poi nelle sue forme più
becere e a volte istintive, fa tutto il resto restituendo al film il
dramma e allo stesso tempo uno scontro tra due donne e il loro
istinto di sopravvivenza.
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