sabato 28 gennaio 2017

Shelley

Titolo: Shelley
Regia: Ali Abbasi
Anno: 2015
Paese: Danimarca
Giudizio: 3/5

Louise e Kasper sono una coppia sposata che è pronta ad avere un figlio, ma Louise scopre con dolore di non poterne avere.
Alla fine la donna, in preda alla disperazione, decide di suggellare un patto con la sua cameriera rumena, Elena, che accetta di portare in grembo il figlio di Louise come madre surrogata in cambio di una grande quantità di denaro . Ma la vita che cresce dentro Elena prende forma troppo velocemente, colpendo la vita di ognuno come una forza maligna pronta a distruggere ogni cosa.

ROSEMARY'S BABY a quasi cinquant'anni dalla sua uscita continua ad essere il punto di riferimento di tutta quella branchia di cinema che tratta il tema della gravidanza e della possessione.
Nell'epoca dei drammi sempre più intimi, Shelley riesce a trovare un prezioso spazio mischiando dramma e orrore legato alla paura della nascita e del travaglio accompagnato ad un lavoro autoriale che sfruttando l'archetipo dell'horror mostra e allarga i confini sui rapporti sociali complessi
Due protagoniste che si dimostrano all'altezza delle parti in particolare Ellen Dorrit Petersen, BLIND, un volto che ha la capacità di perturbare la scena diventando impossibile da dimenticare.
L'altro culturale come strumento per ottenere i propri fini, da un lato la ragazza madre di Bucarest che diventa la madre surrogata, dall'altro la famiglia da preservare, l'invidia, l'incubo di non poter dare alla luce il proprio bambino.
Shelley, un nome emblematico che vorrebbe citare apertamente l'autrice di Frankenstein, ci porta nuovamente in una Danimarca rurale, tra campagne e spazi spogli e solitari, un paese e un territorio su cui ultimamente ci sono stati importanti passi in avanti sul cinema di genere.
Diretto poi da un regista iraniano, il film dalla sua ha una messa in scena lenta e patinata, tanta telecamera a mano, una location, tre attori, un'atmosfera che cerca a dare sempre più ambiguità e mistero alla storia e ancora la natura come paesaggio e come scenario dove consumare il dramma.
L'elemento che funziona maggiormente nel film è proprio l'orrore che lo spettatore percepisce consumandosi lentamente, lasciando sempre una sorta di vaga impressione che da un momento all'altro debba succedere qualcosa di deflagrante. Qui lo spettatore viene colpito maggiormente rendendosi conto della realisticità e della sofferenza legata alle azioni della sua protagonista e dell'attualità per certi versi della tematica trattata.

L'invidia poi nelle sue forme più becere e a volte istintive, fa tutto il resto restituendo al film il dramma e allo stesso tempo uno scontro tra due donne e il loro istinto di sopravvivenza.

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