Titolo: Assassin
Regia: Hou Hsiao-Hsien
Anno: 2015
Paese: Cina
Festival: TFF 33°
Giudizio: 4/5
Cina, IX secolo. Sotto la dinastia Tang
il Paese vive e prospera. A minacciare la sua età d'oro si adoperano
gli ambiziosi e corrotti governatori della provincia. L'"ordine
degli assassini" è incaricato di eliminarli. Nelle sue fila
serve e combatte Nie Yinniang, abile con la spada e sotto la chioma
nera di inchiostro lucente. Rientrata nella sua città e nella sua
provincia, dopo l'apprendistato marziale e un esilio lungo tredici
anni, Nie Yinniang deve uccidere Tian Ji'an, governatore dissidente
della provincia di Weibo. Cugino e sposo a cui fu promessa e poi
negata, Tian Ji'an è l'oggetto del suo desiderio. Amato e mai
dimenticato, Nie Yinniang lo avvicina e lo sfida senza riuscire ad
affondare il fendente. Ostinata a seguire le ragioni del cuore e a
vincere quelle della spada, Nie Yinniang abdicherà al suo mandato,
congedandosi dall'ordine.
Assassin con una parvenza da wuxia
cinese che ormai negli anni siamo stati abituati a conoscere, sfrutta
solo qualche elemento del genere per arrivare a dare forma ad un film
molto complesso, maturo e straordinario.
Miglior regia a Cannes, Hsiao-Hsien non
ha bisogno di presentazioni e riconoscimenti.
E' un autore straordinario che non
prende mai nulla sotto gamba, sondando in questa sua ultima opera,
con libertà e una leggerezza disarmante, dispute politiche e giochi
di potere, oltre che tornare a ribadire alcune tematiche che hanno
sempre attraversato il suo cinema come le donne forti (in questo caso
l'apice direi), la famiglia e il fato.
C'è una grazia dietro, una disarmante
bellezza che rende il film arte a 360°, con alcune immagini e
location che lasciano a bocca aperta, una direzione degli attori
straordinaria e una fotografia che sembra un dipinto, catturando con
una manciata di colori, metafore, sentimenti ed emozioni, il meglio
di questa storia sempre in evoluzione.
Un film inaspettato, che non esplode
mai, non mostra troppo, concede e centellina le sue varie espressioni
e forme.
Senza dire mai più di quanto deve, il
wuxiapian del maestro di Taiwan, destruttura le regole, crea una
forma e quasi una corrente tutta propria e incanta per quanto sia
incredibilmente realistico nella sua messa in scena, senza cercare di
spettacolarizzare troppo in inutili combattimenti ma sapendo bene di
essere forte di una storia originale e controcorrente.
Senza mai concedersi un primo piano ma
puntando tutto su inquadrature in campo medio e lungo aprendo
orizzonti e lasciando modo di innamorarci di ambienti che sembrrano
comunicare quanto i personaggi, regala infine un finale che è pura e
semplice estasi.
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