Titolo: Legge del Mercato
Regia: Stephane Brizè
Anno: 2015
Paese: Francia
Giudizio: 4/5
Thierry ha 51 anni, una moglie e un
figlio disabile. È disoccupato, ha frequentato corsi di formazione
che non gli hanno portato un nuovo lavoro e le sue ricerche non
producono esiti positivi. Finché un giorno viene assunto in un
ipermercato con il ruolo di controllo nei confronti di tentativi di
furto. Tutto procede regolarmente fino a quando un giorno si trova
davanti a un dilemma morale.
Brizè al suo quarto film sembra aver
scelto il suo attore fetticcio oltre ad aver affinato la sua idea di
cinema e aver fatto dei passi in avanti sul tema del sociale e della
crisi economica.
Vincent Lindon, attore formidabile che
non ha bisogno di presentazione, è Thierry, un uomo semplice, reale,
disposto a tutto pur di mantenere una famiglia, una vita decorosa e
un figlio disabile senza lo scopo di creare compassione.
Dai corsi di danza, ai colloqui di
lavoro via skype, alla vendita del camper, al ruolo all'interno del
supermercato, tutto procede lento e inesorabile, dotato di un
realismo eccellente e senza mai dover forzare qualche meccanismo per
creare effetti di scena che stonano con la durezza della normalità.
Il punto di forza su cui il regista
lavora, è proprio quello della moralità del suo protagonista, senza
farlo mai abbassare ad un semplice automa, ma dotandolo di una
sensibilità pungente e molto riflessiva che nel climax finale lo
porta ad entrare in empatia con ciò che lui stesso deve condannare.
In tempi in cui la società e sempre
più complessa, anche un supermercato diventa un microcosmo di
regole, norme, abitudini, schieramenti e omologazioni forzate.
La crisi morale e poi economica
colpisce tutti i ceti sociali, ed anche e per questo le
giustificazioni di chi ruba nel supermercato, rappresentano uno dei
punti di forza del film, perchè fanno da contorno a qualcosa che
viene esasperatamente tenuta sotto i riflettori così come il
controllo dei consumatori con le telecamere di servizio che coglie il
segno di un grande occhio che ci segue dappertutto.
Sembra di trovarsi di fronte ad un
quadro antropologico della sociologia dell'organizzzione e del
lavoro, un film che non da un attimo di tregua nella sua semplicità
e profonda messa in scena.
Thierry insegna una lezione molto
importante in questi tempi sempre più complessi e dinamici in cui
l'età non conta più (se non in negativo) e la flessibilità sembra
un male oscuro che ci hanno imposto di accettare.
Thierry insegna che ogni uomo/donna
deve avere una propria dignità, accettando a testa alta ogni lavoro,
ma allo stesso tempo denunciando e riflettendo su un sistema che
abbatte l'individuo.
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