Titolo: Green Inferno
Regia: Eli Roth
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Un gruppo di studenti attivisti viaggia
da New York fino in Amazzonia per salvare una tribù morente, ma si
schianta nella giungla e viene imprigionato dagli stessi indigeni che
voleva proteggere.
La carneficina degli attivisti e dei
media.
Eli Roth è un regista che omaggia e
contamina senza brillare certo di originalità. Pupillo del suo
mentore, Tarantino, si è sempre ritagliato ruoli da interprete ed è
diventato uno dei nomi saldi per l'horror post-contemporaneo
mediatico.
A mio parere non ha mai aggiunto o dato
spessore al genere, rimanendo sulla bassa soglia, con punte di
exploitation a volte persino gratuite.
Green Inferno è un ulteriore conferma
di un talento furbacchiotto e nulla più.
Omaggiando i cannibal-movie, di cui il
nostro paese è stato precursore (in particolar modo Deodato) Roth
sfrutta la comunicazione globale, l'attivismo, i social e tutto il
resto per rendere più hi-tech il film e modernizzarlo quanto basta.
Se da un lato non voglio iniziare con
tutte le critiche concernenti lo sviluppo di alcuni contenuti e la
cultura antropologica che sta dietro, quello che mi preme far capire
di questa pellicola farlocca è soprattutto il puritanesimo del
cinema americano. Roth non sembra assolutamente criticarlo, il quale
tollera assai meglio la morte più selvaggia di un seno denudato, e
sembra essere molto più importante la banalità dei meccanismi posti
in evidenza, i quali dopo aver trattato del turismo sessuale, del
delirio consumistico e il capitalismo selvaggio arriva all'attivismo,
senza dare nessuna critica interessante ma evidenziando aspetti già
noti come il falso leader carismatico e una protagonista affascinata
più da un'idea e da un leader, che non dalla causa, protetta dal
padre che è un famoso avvocato dell'Onu. Il finale poi con la
dichiarazione della protagonista sulla tribù amazzone è di una
banalità sconcertante.
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