Titolo: Chappie
Regia: Neil Blomkamp
Anno: 2015
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Ogni bambino viene al mondo pieno di
promesse, e cosi è per Chappie che è straordinariamente dotato,
unico nel suo genere, un prodigio. Come ogni altro bambino Chappie
dovrà farsi strada nel mondo con il cuore e con l'anima, tra
influenze buone e cattive, per trovare la sua strada e diventare un
uomo. Ma c’è una cosa che rende Chappie diverso da ogni altro
bambino: Chappie è un robot. Il primo robot capace di pensare e
provare emozioni. Ed è proprio per questo che in molti vorrebbero
fosse l'ultimo della sua specie...
Blomkamp mi aveva colto alla sprovvista
con l'intenso DISTRICT 9 per poi passare al minore, seppur a tratti
interessante ELYSIUM, e infine il terzo incomodo, HUMANDROID che
sembra la parabola commerciale e insieme una mega-pubblicità nonchè
una marchetta per i Die Antwood (bravi come artisti, pessimi come
attori) che non smettono di ricordare ogni due per tre a chi non lo
sapesse le magliette dello stesso gruppo con simbolo ufficiale,
indossate dagli stessi Yolandi e Ninja. Senza stare ad elencare tutte
le targhe e le multinazionali che hanno sponsorizzato il film, si può
dire che è tanto il potenziale in termini di idee e contenuti, ma
purtroppo la rotta di collisione e le scene prevedibili, fanno da
contrasto agli intenti che muovevano il regista nella sua opera
prima, facendo un calderone e un miscuglio che prende in prestito
troppi elementi e costellato da alcuni dialoghi davvero
insopportabili (come quando il duo degli artisti insegna a Chappie
come diventare un gangster).
Un film che soffre troppi compromessi e
dalla sua, se non in alcune scene, non sembra mai prendersi molto sul
serio, riciclando numerosi temi sull'intelligenza artificiale senza
riuscire a gestirli nel modo migliore.
Qualcuno ha scritto una farse
interessante sul suo blog - se c’è una sola cosa che ti fa girare
di più i coglioni di un film di fantascienza deludente, è un film
di fantascienza deludente girato da un regista bravo. -
Blomkamp torna nella sua Johannesburg,
trasportando in un lungometraggio un altro dei suoi primi corti TETRA
VAAL, ma purtroppo ricorrendo troppo ad una struttura da soap opera
in cui la mammina Yolandi forse si affeziona un pò troppo al robot.
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