Titolo: Narco Cultura
Regia: Saul Swarz
Anno: 2013
Paese: Messico/Usa
Giudizio: 3/5
Un documentario che analizza l'influenza dei cartelli messicani della droga nella cultura pop su entrambi i versanti del confine, come dimostrato dall'esperienza di un cantante di Los Angeles esponente della musica "narcocorrida", che coltiva il sogno di celebrità, e di un investigatore della scena del crimine di Juarez, in prima linea nella dura guerra alla droga in Messico.
Nel documentario Saul Schwarz racconta due storie. Da un lato quella di Richi Soto, perito investigativo del locale CSI, il quale si reca al lavoro il mattino senza sapere se tornerà vivo a casa la sera. Sulla scena del delitto i periti sono tenuti a presentarsi a volto coperto, neanche stessero per rapinare una banca, per evitare di essere riconosciuti. Dice che Juarez è molto cambiata, una volta era una bella città, adesso non più. Poi, fermo al semaforo, si accorge che la macchina davanti non ha targa e dice: ecco, questo è il genere di situazione che ci preoccupa. Solo negli ultimi anni tre dei suoi colleghi sono stati giustiziati dai narcos perché erano andati troppo a fondo nelle indagini. Alla radio, sulle frequenze della polizia, a un certo punto parte un corrido. È il modo che usano i narcos per dire che è appena stato fatto fuori qualcuno. Parte la canzone e Richi Soto sa che dovrà andare a recuperare un cadavere.
E poi c’è la seconda storia, quella di Edgar Quintero e della sua band, i Buknas de Culiacan, gruppo di musica tradizionale messicana, specializzata innarcocorridos. I narcocorridos sono canzoni in forma di corrido cha parlano di vicende legate ai narcos. Esaltano le gesta di questo o di quel cartello. I gruppi dinarcocorridos compongono una canzone per un capo o un sottocapo e in cambio ricevono protezione (nel limite del possibile), serate in cui suonare (pubbliche o private), di tanto in tanto una pistola in omaggio. Rispetto alla tradizione deicorridos, i si accontentano più di santificare la vita del fuorilegge romanzandone le gesta, ma sono diventati dei bollettini di guerra o, meglio ancora, dei truci resoconti da horror movie, a immagine e somiglianza delmodus operandi ormai adottato dalla nuova generazione di narco trafficanti. E quindi ecco spiegate le teste mozzate, i bagni di sangue, l’uso dei bazooka quando i kalashnikov non bastano più, eccetera. Finché si tratta di suonare nei club della California meridionale (dove il genere impazza), i musicisti fanno gli spacconi (della serie: Hollywood, arriviamo), ma non appena gli tocca tornare a suonare in Messico, hanno l’aria di soldati mandati al fronte. Sanno che laggiù, a Juarez, può succedere di tutto. E quindi prima di partire si recano dalla fattucchiera di turno, salutano moglie e figli, si infilano la pistola nella cintura e poi via, salgono sul SUV.
Narco Cultura per alcuni aspetti e tradizioni, anche se diverse, ha degli interessanti punti in comune con la nostra cultura mafiosa. I boss dei cartelli come denunciava Saviano e molti prima di lui, sono diventati in alcune regioni d'Italia, delle vere e proprie celebrità, proprio cercando di assomigliare il più possibile ad alcuni personaggi cinematografici e in alcuni casi prendendone pure il nomignolo.
Allo stesso tempo, quando penso al Messico, al documentario e ai cartelli del narcotraffico, non posso che non pensare, a quell'enorme contributo frutto di un lavoro pericoloso che ha portato alla morte del regista, sto parlando di Christian Poveda e il suo LA VIDA LOCA.
“Cantami le gesta del narcotrafficante”
Nel lavoro di Swarz, regista e fotografo israeliano, ugualmente pericoloso, e con un particolare sguardo rivolto al rapporto tra musica e narcotraffico, si parte dalle "narcocorridos” un vero e proprio genere molto apprezzato, una sorta di trasformazione moderna dei vecchi giullari e poi cantastorie.
Saul come Moore, non commenta, ma lascia al pubblico il giudizio e la capacità di farsi un'idea sulla piega presa da questo fenomeno che grazie anche ad un consolidamento rituale e antropologico, si è inculcato nell'anima di questo paese e dei suoi abitanti.
"L'accesso è la fiducia che abbiamo ottenuto sono un po' l'anima del film”, dice Schwarz. "Volevo anche dare un esempio per molti fotogiornalisti che stanno entrando nel mondo del documentario filmato, perché credo che noi fotogiornalisti abbiamo la capacità di andare oltre, di essere crudi, di affrontare i rischi che vanno affrontati”
Alla fine Schwarz e il suo tecnico del suono Juan Bertran hanno ripreso Edgar con armi e droghe, e lo hanno seguito in un folle viaggio attraverso il Culiacan, in Messico, dove ha suonato per (e festeggiato con) diversi gangster dei cartelli della droga.
Per rendere il film il più realistico possibile, Schwarz ha convinto Edgar e Richie a permettergli di documentare momenti intimi delle loro vite, anche se ciò significava mostrare attività illegali o scene raccapriccianti di morte.
Un lavoro coraggioso e importante che ancora una volta rende il documentario, il vero strumento della settima arte che possa dare veridicità e spessore alle vicende moderne di cui spesso e volentieri, poco si parla.
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