mercoledì 12 novembre 2014

Filth

Titolo: Filth
Regia: Jon S.Baird
Anno: 2013
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 3/5

Bruce “Robbo” Robertson è un sergente di Edimburgo, dipendente da alcol, droghe e prostitute, e ossessionato dalla promozione sul lavoro che tenterà di ricevere con ogni mezzo. Per far questo, deve riuscire a risolvere il caso di un ragazzo giapponese ucciso e ritrovato sotto a un tunnel.
Le sue dipendenze e le psicosi, non lo aiuteranno di certo…

Welsh non ha avuto molte trasposizioni su grande schermo.
Tolto il cult TRAINSPOTTING, quasi nessun altro si era cimentato o aveva attinto dalle sue opere.
Ci prova Baird, anche sceneggiatore assieme allo stesso scrittore, classico british in piena regola, che ci aveva regalato un film molto interessante e pieno di piccole sorprese come CASS (che rimane finora il più riuscito) e prima ancora un classico esempio di dramma sulle tifoserie inglesi, HOOLIGANS.
Quindi non soprende nemmeno tanto vista l'indole del regista, che diventasse il traspositore del Lercio.
Con un James McAvoy esagitato (un attore che non amo particolarmente) Baird, crea un film con un ritmo devastante, dialoghi in pieno stile british, grotteschi e cosparsi del classico humor nero, e una parata di personaggi che riescono quasi tutti a inserirsi i uno spazio peculiare per la narrazione e la logica esagerata del film. Sembra quasi una varante del DOM HEMINGWAY.
Qui ancora una volta è lo squallore ad essere il vero protagonista nelle scelte e negli atteggiamenti di Robbo, in una Scozia, che però a differenza del romanzo, non fa emergere quel senso di marcio che sembra impregnato nei libri dello scrittore scozzese.
La parte migliore del film non è quella di tratteggiare, e qui è molto aderente al libro, un sergente schifoso dentro e fuori, omofobo, malato, bipolare, drogato, corrotto e puttaniere e con seri problemi di quella “malattia” più comunemente chiamata “cattiveria umana”.
Per quello in parte ci aveva già detto quasi tutto Ferrara con IL CATTIVO TENENTE anche se con una componente di deriva più rituale e religiosa. La parte migliore sembra quasi essere, verso il finale, un bisogno di cercare di calibrare ed equilibrare gli eccessi, portando, o cercando di portare a termine, l'indagine e abbandonare per un attimo la componente tragica e eversiva del film.
Sinonimo di riuscita, è spero che su questo Baird ci rifletta molto, non è l'esagerazione e tutto ciò che di solito piace su questo genere, ma l'astuzia di sfruttare questi elementi e di piegarli per la compostezza del soggetto. Una riuscita che direi riuscita metà a questo giro per regista, scrittore e attori.

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