Titolo: 12 anni schiavo
Regia: SteveMcQueen
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Siamo negli Stati Uniti. Negli anni che hanno preceduto la guerra civile americana, Solomon Northup, un nero nato libero nel nord dello stato di New York, viene rapito e venduto come schiavo. Misurandosi tutti i giorni con la più feroce crudeltà ma anche con gesti di inaspettata gentilezza, Solomon si sforza di sopravvivere senza perdere la sua dignità. Nel dodicesimo anno della sua odissea, l'incontro con un abolizionista canadese cambierà per sempre la sua vita.
Sembra che ogni tot di tempo l'america debba fare i conti con i suoi errori del passato. Dopo l'opera matura di Tarantino, tocca all'inglese afroamericano Mc Queen affrontare il tema della schiavitù in modo ancora più specifico senza raccontare una storia di vendetta. Attraverso lo sguardo di Solomon, cerchiamo di sondare uno squarcio della storia dell'ingiustizia della schiavitù di un uomo libero. McQueen e il suo attore feticcio Fassbender, tornano per parlarci di un'altra fame e vergogna: quella della prigionia, che sia in una cella, in una fattoria o in un campo di cotone, poco importa e lo fa prendendo la vera storia di un personaggio che verrà diviso dalla sua famiglia per dodici anni (per l'esattezza, 11 anni, 8 mesi e 26 giorni).
Trasposizione dell'omonimo libro di memorie scritto dallo stesso Northup nel 1853, 12 anni schiavo esamina la condizione degli schiavi afro-americani senza risparmiare nulla di ciò che realmente accadde non solo a Northup, che ebbe la fortuna di sopravvivere a quel rapimento dell'aprile del 1841, ma anche a chi ebbe una sorte più nefasta, nell'inferno del profondo sud degli States.
Quello che McQueen non fa è di risparmiarci le barbarie vissute da questo popolo, ridotto in schiavitù, e per farlo, sceglie alcune immagini davvero molto violente e quasi estenuanti nella loro durata che sembrano volerci dimostrare come la violenza fosse un elemento condiviso e accettato.
Se da un lato il regista ha uno schema corale con diversi attori da gestire, dando tutto sommato una prova di enorme sforzo dal punto di vista organizzativo e di messa in scena, dall'altro non esce dagli schematismi narrativi del genere, che distinguono la società in poveri e ricchi, in bianchi e neri, in buoni e cattivi, senza sfumature intermedie, correndo così il rischio di far diventare delle bozzette personaggi come quello di Bass, interpretato da Pitt, che dovrebbe invece avere un ruolo strategico. E'un realismo di denuncia certo più approfondito che in LINCOLN o DJANGO dal punto di vista della messa in scena e della realtà sociale, senza però stare a prendere una posizione precisa, ma scegliendo una strada diversa dagli altri due, rimanendo anch'esso ancorato ad una struttura e un racconto biografico.
Ciò per cui un film potrebbe far pensare di più di un libro e ad esempio che, nonostante lo scalpore suscitato all’epoca il suo valore storico, il libro poi è stato quasi del tutto dimenticato, ed è rimasto fuori catalogo per buona parte del Novecento e speriamo invece che con la settima arte la storia di Northup non venga mai dimenticata.
Nessun commento:
Posta un commento