Titolo: Kotoko
Regia: Shinya Tsukamoto
Anno: 2011
Paese: Giappone
Giudizio: 3/5
Kotoko, madre single del piccolo Daijiro, soffre continuamente di uno sdoppiamento della visione. Di qualsiasi persona con cui viene a contatto anche casualmente( un incontro per strada per esempio) vede una versione "buona" e una "cattiva" che cerca di attaccare lei e il suo bambino. E la sua è una lotta disperata contro la propria mente per l'incolumità del piccolo. Sospettata di abusi su Daijiro, le viene tolto e affidato alla sorella. Lei cerca di trovare un'illusoria stabilità nella relazione con uno scrittore di successo ma la loro storia finisce presto.
Un giorno è riabilitata e le viene riaffidato il bambino, ma non è guarita e ricomincia la lotta contro le visioni da cui è afflitta. L'unico momento in cui non ne ha è quando canta.
Che Tsukamoto sia un noto outsider è noto a tutti. Kotoko, il suo ultimo film passato in sordina quasi ovunque tranne nei festival più importanti (Venezia) è ancora una volta l’estrema sintesi del suo pensiero cinico e fortemente autodistruttivo. Il suo cinema è spesso molto visionario disperato e costellato di una sofferenza a volte portata agli eccessi. Un film malato, contorto, disturbante ed estremo. La catarsi della protagonista è ovviamente sopra le righe delineando un personaggio scomodo e piuttosto psicopatico per certi versi. Fin qui sarebbe rimasto dunque un filmetto come un altro ma Tsukamoto, essendo un autore vero in tutti i sensi, spinge il pedale e approfondisce un’analisi sociale determinante soprattutto se si parla di un paese come il Giappone.
L’ossessione, la violenza come motore propulsore di uno stile di vita, l’angoscia, la lacerazione dell’inconscio mentale ( la protagonista ci vede doppio, nel senso che la sua mente sdoppia le persone che vede, una reale e una no, una positiva e una negativa, che cerca di attaccarla, senza che lei possa distinguere quale esista e quale sia frutto della sua immaginazione) sono i punti forti e i temi ricorrenti del film. In Giappone di persone che si ammalano come Kotoko c’è ne sono molte (basti pensare all’enorme tasso di suicidi) è la malattia degenerativa della protagonista investe non poche coetanee.
Ci sono pure un paio di dirette autocitazioni sul suo stesso cinema dall’intervista in cui parla di BULLET BALLET fino alla sagoma di sangue perenne che ricorda le scene di violenza di TOKYO FIST.
Lo stile poi è come uno schiaffo in piena faccia con un montaggio serrato, una macchina da presa che pedina a pochi centimetri la protagonista inquadrata sempre in campi molto stretti, etc. Un consiglio: chi non ama i vagiti dei bambini lasci perdere in partenza!
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