Titolo: Kill List
Regia: Ben
Wheatley
Anno: 2011
Paese: Gran Bretagna
Giudizio: 4/5
Regno Unito. Dopo
una pausa di otto mesi, Jay, un killer sposato con prole e schiacciato da
problemi finanziari, decide di accettare un nuovo incarico, all'apparenza senza
complicazioni. Ma si sa, le apparenze ingannano e quella che doveva essere una
macabra routine diventa un crescendo di follia, fino a sfociare nell'incubo
Che bello, ancora una volta gli inglesi come i francesi
dimostrano un certo modo di fare cinema che sembrava, perlomeno a partire dagli
’80 e dai ’90)solo esclusivamente un fenomeno americano.
Eppure gli europei negli ultimi anni stanno sorpassando
il mercato americano. Se non a livello quantitativo, sicuramente a livello
qualitativo.
A differenza però di quello francese, il cinema inglese
punta spesso su commedie nere, horror con una certa satira di fondo e thriller
pieni di colpi di scena.
Kill List fa parte della terza tipologia.
Un thriller che riesce a sposare diversi generi
diventando una mistura tra il gangster, il noire e l’horror.
Opera seconda del
regista britannico Ben Wheatley (sua la crime comedy Down Terrace del 2009).
L’originalità del
film e nel suo tessuto narrativo e nel suo formidabile montaggio. La suspance
sale con l’evolversi della storia, solo a tratti banale e solo a tratti
convenzionale con un certo tipo di cinema noire che sfocia in qualcosa di
contorto e perverso da metà film in avanti.
E’stato lodato
come il miglior indi inglese del 2011. Sti gran cazzi aggiungerei, contando che
il film ha meriti che purtroppo patiscono alle volte l’effetto di non avere una
certa maestria e autorialità, non per questo però non bisogna dare i giusti
meriti alla sceneggiatura e alla regia dell’ottimo Wheatley.
Ci sono delle
fonti d’ispirazione o meglio delle scene che ricordano alcune atmosfere o
alcuni brutali omicidi (THE WICKER MAN e THE SERBIAN FILM per non citare la
letteratura e i fumetti).
Tutto funziona, o
meglio le poche parti che sembrano avere delle forzature o essere scollegati o non
avere una giustificazione in termini di sceneggiatura purtroppo ci sono, ma sono
poche e i meriti su cui va evidenziato il film sono enormemente maggiori.
Dai dialoghi taglienti iniziali e gli scontri tra Jay e la
moglie assolutamente attuali e quanto mai disperati per mostrare fino a che
punto si può arrivare a perdere il controllo sono tra gli effetti più evidenti
di una coppia in crisi, vittima del consumismo che non riesce a comunicare se
non esplodendo in scenate che alle fine fanno più male di molte scene di
violenza.
Recitazioni da urlo soprattutto per la coppia che deve
portare a termine la missione o come il socio del protagonista o il tizio che
affida loro i lavori.
Un film alle volte anomalo e straordinariamente onirico
nei suoi passaggi spiazzanti. Si cerca di mescolare abusi, snuff, sette,
corporation, dramma famigliare, redenzione e perdita totale del controllo
(queste ultime due sembrano rispecchiare le personalità del protagonista che
sfoga la rabbia e la cattiveria su pedofili e seguaci di sette per riscattare
il nervosismo che cerca continuamente di somatizzare).
Qualche defezione
nei colpi di scena c’è così come alcuni momenti che sembrano scollegati o
incompatibili con la struttura ma il grido disperato finale inchioderà lo
spettatore dandogli parecchi spunti su cui riflettere.
Finisco col dire
che ci sono delle scene davvero spiazzanti e iper-violente così come la rabbia
che si impossessa del protagonista o la lucidità con cui le vittime e spesso i
fedeli adepti di alcune sette, accettano incondizionatamente il loro agognato
destino per abbracciare la soluzione finale.
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