sabato 24 settembre 2011

Carnage


Titolo: Carnage
Regia: Roman Polanski
Anno: 2011
Paese: Polonia
Giudizio: 3/5

Di solito nei film di Polanski una delle cose che mi esalta di più è la prima inquadratura con cui il regista cerca sempre qualcosa di molto difficile o particolare. In questo caso uno dei registi più in gamba al mondo ha abbassato un po’ la guardia, anche se strizza l’occhio per chiuderla con quella finale…
In Carnage è l’assunto iniziale per iniziare una critica feroce sui modi perbene d’insulse coppie borghesi troppo presi da se stessi per vedere oltre il proprio praticello. Ma se per una questione d’orgoglio si pesta il praticello dell’altro allora tutti i modi eleganti e le belle parole subiscono una trasformazione tale da costringerli ad assumere la loro vera forma e arrivando a far emergere le insoddisfazioni e le problematiche dei rispettivi matrimoni lasciando da parte i figli di cui in realtà frega ben poco. La lite tra i figli delle rispettive famiglie e proprio l’incipit iniziale da cui si dirama tutto il film.
Pane per i suoi denti. Certo Polanski poteva osare di più o concentrarsi maggiormente sui dialoghi, invece lascia spazio e fiducia al quartetto di attori e parafrasando l’opera da cui il film è tratto e che andrò a leggere ovvero “Le dieu du carnage”, premiatissima piéce teatrale del 2006 di Yasmina Reza, dirige un film neanche eccessivamente elegante come forse si poteva pensare poiché è tutto girato all’interno di un appartamento.
Alcune forzature ci sono come i passaggi che servono a scandire gli atti del film ovvero il gioco forza di entrare e uscire dall’appartamento.
Eppure presi uno per volta i protagonisti rappresentano proprio quattro maschere diverse su come si nasconda l’insofferenza, la noia di vivere e il falso perbenismo.
Il moderatore che nasconde un modo di fare iracondo (Reilly, fantastico nella scena del racconto del criceto), il buonismo patologico della moglie che si trasforma in isterismo avanzato (Foster che quando sclera è davvero notevole), l’eleganza e il modo di porsi cortese che diventa sboccato appena tocca un po’ di alcool (Winslet un’attrice comunque in crescita) e l’avvocato di turno cinico e maleducato che vive in stretto contatto con il cellulare (Waltz in un ruolo che più suo di così non poteva chiedere).
Diciamo che alcuni passaggi e il climax finale vengono già a galla a metà del film, eppure il fatto che in alcuni momenti si rida (strano per le regole di Polanski) e vedere gli attori così a proprio agio con la possibilità di strafare senza esagerare fa parte di quelle piccole regole del cinema del maestro (genio della perfidia che si cela dentro ognuno di noi).


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