Titolo: Green Book
Regia: Peter Farrelly
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
New York City, 1962. Tony Vallelonga,
detto Tony Lip, fa il buttafuori al Copacabana, ma il locale deve
chiudere per due mesi a causa dei lavori di ristrutturazione. Tony ha
moglie e due figli, e deve trovare il modo di sbarcare il lunario per
quei due mesi. L'occasione buona si presenta nella forma del dottor
Donald Shirley, un musicista che sta per partire per un tour di
concerti con il suo trio attraverso gli Stati del Sud, dall'Iowa al
Mississipi. Peccato che Shirley sia afroamericano, in un'epoca in cui
la pelle nera non era benvenuta, soprattutto nel Sud degli Stati
Uniti. E che Tony, italo americano cresciuto con l'idea che i neri
siano animali, abbia sviluppato verso di loro una buona dose di
razzismo.
Green Book non è un brutto film.
Meritava l'Oscar? Forse no.
Da sempre gli Oscar rappresentano
l'anti festival a priori, dove predomina la facciata e un Academy che
preferisce scelte dettate dalle buone maniere. Una parata dove
vincono spesso le marchette come negli anni abbiamo dimostrato anche
noi italiani.
L'ultimo film di Farrelly (che ha
capito che i drammi servono di più a differenza delle commedie
becere girate finora) di fatto mostra un film piuttosto banale in un
equilibrato rapporto tra bianco e nero visto altre migliaia di volte
con altre migliaia di mezzi e cambiando di fatto pochi accessori ( A
SPASSO CON DAISY non riesco nemmeno a levarmelo dalla testa)
In questo caso però sono le tematiche
o meglio come esse vengono gestite a lasciare interdetti come a dire
"Che diavolo gli è passato per la testa?" e soprattutto
ancora siamo fermi a questo punto nel 2019, con così tanto cinema
politicamente impegnato che non viene nemmeno preso in
considerazione?
Sembra di sì.
Il cast è fantastico. Il ritmo per
durare quasi due ore è formidabile a non far pesare mai momenti
troppo sobbarcati di buoni sentimenti e scene melense.
Tutto in fondo è più che
matematicamente studiato a tavolino, il finale e nessun altro momento
del film godono o possono godere di colpi di scena, ma forse non
servono. Si rimane così ad osservare i dialoghi e i cambi repentini
di un personaggio, quello di Don, che da un lato nasconde la sua
omosessualità e dall'altra esibisce un tono estremamente elegante
avendo il piglio di un grande attore classico.
Tematiche sul razzismo, sulla
diseguaglianza, su un nero che non può andare nei servizi pubblici
dove vanno i bianchi, ma può salire come un bestia sullo stesso
palco.
In tempi dove il razzismo è tornato in
auge in maniera pericolosa, Green Book è un buon film ma non è la
risposta al problema. Il cinema può fare di più e in maniera meno
patinata
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