Titolo: 7 sconosciuti a El Royale
Regia: Drew Goddard
Anno: 2018
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
Anni Sessanta. Un uomo affitta una
stanza all'hotel El Royale nascondendo una borsa voluminosa sotto le
assi del pavimento. Pochi attimi dopo viene ucciso da un altro uomo,
la cui identità rimane misteriosa. Dieci anni dopo alcuni clienti
decidono di soggiornare nello stesso albergo, che si trova all'esatto
confine fra la California e il Nevada, al punto che una striscia
rossa divide fisicamente a metà gli spazi: da un lato le camere in
Nevada - lo stato del vizio, dell'illegalità e del gioco d'azzardo -
dall'altro quelle in California - lo stato dell'amore libero, della
contestazione e di Hollywood. Uno dopo l'altro i personaggi
riveleranno la loro vera natura.
Il secondo film di Goddard dopo
l'accattivante QUELLA CASA NEL BOSCO lasciava veramente tutti sgomenti su
cosa comprendesse il suo prossimo progetto.
Di sicuro il primo elemento che mi ha
fatto sorridere e vedere alla scrittura solo Goddard, quindi volevo
veramente capire se il regista avesse la stoffa e doti come
sceneggiatore.
Nel film precedente c'era Josh Whedon
con lui, un nome che non ha bisogno di presentazioni.
E infatti la scrittura, dal secondo
atto, diventa l'elemento più intricato e scollegato dell'intera
opera.
Un film esageratamente ammiccante a
tanti generi scegliendo ed edulcorando il pulp come se fosse qualcosa
di così estremamente accattivante e alla portata di tutti, quando
invece trovo che sia l'esatto contrario. Non lo è affatto a meno che
tu non sia Tarantino o uno di quella mercè lì, che sa tenere in
scacco tanti elementi diversi, senza fare danni o deflagrare in
anticipo.
Il problemone se così vogliamo
chiamarlo è un lavoro di sottrazione che invece il film ribalta
immettendo sempre elementi diversi, schiacciando il pedale sulla
violenza e i colpi di scena, a volte enormemente scontati o con
l'effetto di storpiare quanto di buono visto un attimo prima.
Dal punto di vista tecnico non si può
dire nulla come sempre, e sulla storia la parte della presentazione
iniziale è indubbiamente la migliore, contando il discorso della
linea che divide i due stati dentro l'albergo anche se viene quasi
subito lasciata in secondo piano.
Nel finale ci sono delle scelte davvero
insulse, a questo punto Goddard hai deciso di prendere una strada che
è quella dell'esagerazione e fallo, per citare HATEFUL HEIGHT, falli
morire tutti e male pure.
Qui invece il portiere finale che si
confessa dopo che abbiamo scoperto essere un cecchino infallibile,
l'happy ending finale che uccide quel poco di buono che il film aveva
costruito, personaggi caratterizzati così male che non vi
ricorderete di nessuno di loro.
E poi Billy Lee interpretato dal
fascistone Thor è qualcosa di inguardabile, l'antagonista che arriva
con la sua Manson family nell'albergo a cui piace scoparsi le
ragazzine.
Un personaggio misero come gli altri ma
il suo ha qualcosa di peggio soprattutto quando non fa altro che
tirarsela e far uscire dalla bocca stereotipi già sentiti mille
volte.
L'unica nota positiva è il ritmo che
in definitiva non stanca mai.
Goddard deve avere dei grossi problemi
con i complotti e la paura di essere osservato.
Veramente troppa carne al fuoco, in uno
stile estetico che cerca di piacere tutti e fare andare d'accordo
diversi target. Il verdetto finale è un enorme prova di regia che
conferma l'ottima messa in scena, ma non ancora la capacità di saper
scrivere da solo una storia che voleva anche essere complessa e
stratificata, ma che fino a prova contraria, dimostra di non
riuscirci.
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