Titolo: Lion-La strada verso casa
Regia: Garth Davis
Anno: 2016
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
Nel 1986, il piccolo Saroo di cinque
anni, decide, una notte, di seguire il fratello più grande non
lontano da casa, nel distretto indiano di Khandwa, per trasportare
delle balle di fieno. Non resiste, però, al sonno e si risveglia
solo e spaventato. Sale in cerca del fratello su un treno fermo, che
parte, però, prima che lui riesca a scendere e percorre così 1600
chilometri, ritrovandosi a Calcutta, senza nessuna conoscenza de
bengalese e nessun modo per poter spiegare da dove viene. Dopo una
serie di peripezie, finisce in un orfanotrofio e viene adottato da
una coppia australiana. Venticinque anni dopo, con l'aiuto di Google
Earth e dei suoi ricordi d'infanzia, si mette alla ricerca della sua
famiglia.
Lion è il tipico drammone che fin da
subito e dall'espressione del suo protagonista, Dev Patel, sembra una
sorta di profezia che ti spingerà ad un solo e unico obbiettivo:
Piangere.
Davis nonostante l'abbia adorato
assieme alla Campion per averci regalato una bellissima serie
australiana del 2012 di nome Top
of the lake-Season 1 e che
per fortuna ancora in molti non sanno dell'esistenza. In questo caso
ci troviamo tra Usa e Australia con alcune scene tra passato e futuro
ambientate anche in India. Non sono poche le similitudini che
abbracciano in questi contesti alcune analogie tra il film di Davis e
quello di Boyle tra l'altro con lo stesso protagonista. La ricerca
della propria famiglia, riprendersi un'identità culturale e altri
temi che il film affronta, per quanto spesso siano abusati nel
cinema, possono ancora avere grosse risorse ed essere giocati con
sensibilità e momenti di indubbia originalità (che purtroppo il
film non possiede).
Solo in parte il film ne mostra alcune
soprattutto per quanto concerne le fragilità dei suoi personaggi ,
il rapporto con la famiglia adottiva in Australia ad esempio è
semplicemente adorabile, complici la Kidman e Wenham. Straordinaria
la parte tra Saroo e il fratellastro Mantosh quando i due dopo anni
si ritrovano nella catapecchia dove decide di vivere confinato il
fratello, con un disturbo di personalità che lo confina in suo
preciso spazio cercando di dare un senso alla sua esistenza.
Mentre la storia d'amore con Lucy
(Rooney Mara sta diventando un po come il prezzemolo nelle produzioni
americane e non solo) mè un po abbozzata e sa tanto di forzatura per
alcuni aspetti e per come in fondo si sa dove andrà a parare, la
parte girata a Calcutta con il Saroo piccolo, Sunny Pawar, buca
davvero lo schermo così come i momenti della fuga dei bambini dalle
strade di Calcutta per non essere portati in strutture rigidissime
dove non si sa se sopravviveranno.
Lion ha tante premesse e Davis senza
farsi prendere troppo la mano disegna un film molto articolato con
tanti temi e strutture che avvolge un periodo di storia lungo e
complesso.
E' vero che si piange o meglio ci si
commuove ma non è il preciso intento del regista. La realtà è
sensibilizzare il pubblico su temi importanti e attuali. Parlare di
adozioni internazionali e allo stesso tempo unire viaggio dell'eroe,
film di formazione e una crescita, quella del protagonista, che
abbraccia molte più cose nel film di quelle che vi sto dicendo.
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