Titolo: Live Cargo
Regia: Logan Sandler
Anno: 2016
Paese: Usa
Festival: 34°TFF
Sezione: Festa Mobile
Giudizio: 2/5
Nadine e Lewis hanno appena perso il
bambino che tanto aspettavano. Nel tentativo di guarire la ferita e
ricucire lo strappo che si sta consumando, si concedono una vacanza
in una remota isola delle Bahamas, dove la famiglia di Nadine
possiede da anni una casa. Un luogo meraviglioso, e per la ragazza
carico di ricordi. Ma dietro l'apparente quiete del paradiso
tropicale, si nascondono conflitti insanabili e trame ignote: da un
lato c'è Roy, l'anziano patriarca che governa l'isola, e dall'altro
lo spietato Doughboy, boss del locale traffico di esseri umani, che
vorrebbe espandere il proprio giro d'affari. In mezzo il giovane e
ingenuo Myron, plagiato da Doughboy e attratto da Nadine. Per la
coppia è una discesa all'inferno.
"Una volta c’erano solo la terra e l’oceano, oggi ci sono anche i live cargo (trasporto di esseri viventi), la cocaina e l’erba."
A metà tra Lansdale e Malick,
incrociando sulla strada l'ombra di McCarty e i fantasmi di qualche
imprecisato film di denuncia sociale, Live Cargo è quel tipico film
che aveva tutti gli elementi alla base per conquistare pubblico e
critica ma ha invece deluso quasi tutti.
Sandler era presente in sala con tutta
la ciurma di amici e conoscenti, produttori e sostenitori.
Praticamente la sala era composta per 3/4 dai Sandleriani. Ora al di
là degli applausi meritati o meno, l'opera prima del regista bianco
che parla di conflitti e dispute tra neri ha tanti bei momenti, una
messa in scena cupa e con una fotografia eccellente in b/n che riesce
a dare forma e sostanza dove la cinepresa non riesce aprendo verso
spazi sconfinati di intensa bellezza.
Live Cargo ha due protagonisti tosti,
freschi da un lutto e incazzati neri col mondo con la voglia di
riprendere il controllo della vita sulla morte. Elaborando il lutto,
conoscono un altro orrore e con tale scempio dovranno confrontarsi.
Unire questa psicologia della perdita e della rabbia con i traffici
loschi e la tratta di esseri umani è quanto di più ghiotto poteva
esserci e il regista sembra crederci per poi farsi prendere la mano
da una sorta dii esercizio di stile cambiando binario e spostando
tanto sui non detti, sui primi piani, sull'insistenza a seguire
compulsivamente i suoi personaggi e arenare la storia che subisce più
battute d'arresto narrativamente parlando per finire lasciandoti
l'amaro in bocca.
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