Titolo: Maps to the Stars
Regia: David Cronemberg
Anno: 2014
Paese: Canada/Usa
Giudizio: 4/5
La famiglia Weiss si sta facendo strada nella assolata California del sud, tra soldi, sogni, fama, invidie, desiderio ed implacabili fantasmi. Sanford Weiss è un famoso terapista televisivo con una lunga lista di clienti molto famosi, sua moglie Cristina Weiss si occupa della carriera del figlio 13enne, star della televisione. La coppia ha un’altra figlia, Agatha: a insaputa di tutti è appena tornata in città, misteriosamente sfregiata. Agatha stringe amicizia con un autista di limousine e diventa l’assistente personale di Havana Segrand, un’attrice ossessionata nel voler interpretare il ruolo che fu della madre nel remake di un grande film del passato. Il fantasma della madre, morta in un incendio, continua a turbare la sua vita. Agatha è alla ricerca di redenzione e anche in questo regno dell’artificiale, dell’ultraterreno e della finzione, è determinata a trovarla. A qualunque costo.
Qualcuno parla di un Cronemberg minore da Cosmopolis a questa sua ultima opera.
Sembra che la percezione distorta, a differenza del delirio mentale che diventa martirio della carne, come tutta la sua prima filmografia insegnava, sia diventato il vettore principale su cui far convergere le ultime tematiche, di fatto, care da scrutare per il regista.
Il fatto è questo: Maps to the Stars è un film molto curato, intelligente, riflessivo, disperato e particolarmente allucinato oltre che ambizioso e se fosse stato girato da qualsiasi altro regista sarebbe diventato quasi subito un piccolo capolavoro.
Nelle mani dell'outsider canadese, l'illusione delle star sembra quasi la log-line con cui Cronemberg parla di lutto della settima arte, decomposta ad una squallida idea di marketing e di accordi prestabiliti.
Molti sono i momenti che fanno riflettere, in particolare l'adolescente star (simbolo più che mai di come le cose stiano cambiando in peggio) e una Moore in quasi stato di grazia contando che si è potuta permettere una recitazione molto esagerata.
Grottesco e cinico all'inverosimile, con la storia di Agatha però sembra deragliare da questi personaggi prigionieri del loro ego, mettendo quasi una sorta di personaggio esterno che come noi, cerca di dare un senso a una Hollywood che un senso non potrà mai averlo.
A dispetto degli apocalittici che amano solo la violenza e i fiumi di sangue del regista, se scrutano bene potranno vedere come nella sua ultima opera la tragedia greca, così sviluppa il film, è spietata e lascia i protagonisti in una matassa che non saranno in grado di sbrogliare tra incesti, pulsioni primordiali e una freddezza lapidaria che spesso fa molto più male di un fiume di sangue.
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