Regia: Jeremy Saulnier
Anno: 2013
Paese: Usa
Festival: TFF 31°
Giudizio: 3/5
Dwight è un derelitto, fruga nella spazzatura e dorme nella sua macchina. Capiamo come sia arrivato a questa condizione solo quando viene a sapere che un uomo sta per uscire di prigione: la persona che anni prima ha ucciso i suoi genitori e che ora è di nuovo a piede libero. La notizia gli ridà forza, lo rimette in sesto, determinato a pareggiare i conti uccidendo la persona che la legge ha lasciato libera. Dwight però è anche una persona normale, che ha poca confidenza con le armi o con la violenza, ed è solo la forza del desiderio che lo anima a spingerlo.
Blue Ruin è un esempio di revenge movie senza soddisfacimento.
Dwight è il classico personaggio atipico, un loser in piena regola, incapace di commettere omicidi o gesti eclatanti di violenza se non per una pura esigenza personale volta a schiarire oscuri demoni del passato.
Saulnier è astuto, dirige, scrive e fotografa, stravolge il montaggio adottando una buona struttura per coinvolgere ancora di più lo spettatore, senza metterlo al corrente dei fatti, ma aumentando la sospensione d'incredulità con vistosi momenti di silenzio, prendendosi i suoi tempi e dosando il ritmo.
Allo stesso tempo cerca e qui la sfida più grossa, di voler costruire una storia di genere senza fidarsi degli strumenti tipici di questo tipo di cinema e il risultato devo dire che pende dal lato intuitivo delle ottime scelte utilizzate.
L'America rurale di Blue Ruin è sporca e indigesta, gli stessi bifolchi che la popolano sembrano vittime di un male incurabile, ormai stanchi e cattivi, e le azioni di Dwight non possono che portare ad un amaro scontro sull'inevitabile circolarità della violenza.
Il titolo ritengo alluda alla "carcassa blu" del protagonista, una ferraglia arrugginita che un tempo ben lontano dal presente poteva definirsi "autoveicolo", e che lo accompagna per tutta la concitata vicenda ospitando corpi vivi e cadaveri in più occasioni, nella migliore tradizione del noir.
Festival: TFF 31°
Giudizio: 3/5
Dwight è un derelitto, fruga nella spazzatura e dorme nella sua macchina. Capiamo come sia arrivato a questa condizione solo quando viene a sapere che un uomo sta per uscire di prigione: la persona che anni prima ha ucciso i suoi genitori e che ora è di nuovo a piede libero. La notizia gli ridà forza, lo rimette in sesto, determinato a pareggiare i conti uccidendo la persona che la legge ha lasciato libera. Dwight però è anche una persona normale, che ha poca confidenza con le armi o con la violenza, ed è solo la forza del desiderio che lo anima a spingerlo.
Blue Ruin è un esempio di revenge movie senza soddisfacimento.
Dwight è il classico personaggio atipico, un loser in piena regola, incapace di commettere omicidi o gesti eclatanti di violenza se non per una pura esigenza personale volta a schiarire oscuri demoni del passato.
Saulnier è astuto, dirige, scrive e fotografa, stravolge il montaggio adottando una buona struttura per coinvolgere ancora di più lo spettatore, senza metterlo al corrente dei fatti, ma aumentando la sospensione d'incredulità con vistosi momenti di silenzio, prendendosi i suoi tempi e dosando il ritmo.
Allo stesso tempo cerca e qui la sfida più grossa, di voler costruire una storia di genere senza fidarsi degli strumenti tipici di questo tipo di cinema e il risultato devo dire che pende dal lato intuitivo delle ottime scelte utilizzate.
L'America rurale di Blue Ruin è sporca e indigesta, gli stessi bifolchi che la popolano sembrano vittime di un male incurabile, ormai stanchi e cattivi, e le azioni di Dwight non possono che portare ad un amaro scontro sull'inevitabile circolarità della violenza.
Il titolo ritengo alluda alla "carcassa blu" del protagonista, una ferraglia arrugginita che un tempo ben lontano dal presente poteva definirsi "autoveicolo", e che lo accompagna per tutta la concitata vicenda ospitando corpi vivi e cadaveri in più occasioni, nella migliore tradizione del noir.
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