Titolo: Her
Regia: Spike Jonze
Anno: 2013
Paese: Usa
Giudizio: 5/5
Theodore è impiegato di una compagnia che attraverso internet scrive lettere personali per conto di altri, un lavoro grottesco che esegue con grande abilità e a tratti con passione. Da quando si è lasciato con la ragazza che aveva sposato però non riesce a rifarsi una vita, pensa sempre a lei e si rifiuta di firmare le carte del divorzio. Quando una nuova generazione di sistemi operativi, animati da un'intelligenza artificiale sorprendentemente "umana", arriva sul mercato, Theodore comincia a sviluppare con essa, che si chiama Samantha, una relazione complessa oltre ogni immaginazione.
Her è pura poesia.
Her è un'opera che grida contro la solitudine che ci sta invadendo e costringendo a prendere delle precauzioni.
Her è la dimostrazione del talento di un autore che ci mette tutta la misericordia possibile nei suoi lavori. Un ingegno e un acume che sono più che mai attuali, profetici e degni di nota.
Il regista ci mette davvero tanto di suo per arricchire le sue opere, trasferendoci tutta una serie di vettori che sono solo suoi e specifici del suo modo di fare cinema (questa è una grande dote che purtroppo non sono in molto ad avere, nell'attuale cinema contemporaneo d'autore).
Durante la visione di Her, si piange e si ride, ci si sente soli e forse si vorrebbe poter parlare di più con qualcuno, magari toccarsi o anche solo appoggiare la testa sulle spalle di un amico.
Her non è il futuro, ma un presente che sta cambiando così velocemente da non dare la possibilità all'individuo di prendere delle precauzioni, contro l'accanimento tecnologico che ci sta schiacciando.
Joaquin Phoenix è grandioso. Ogni sua piccola smorfia e la sua immensa mimica, creano momenti suggestivi, dando la totale impressione di quello che il protagonista vive e pensa, trasmettendoci ogni sua più profonda emozione e sentimento.
La società che Jonze ci presenta fa paura.
Questa paura dovrebbe essere un monito per far sì che tale scenario non possa succedere.
Le dinamiche umane continuano a interessare Jonze che dopo NEL PAESE DELLE CREATURE SELVAGGE fa un lavoro diametralmente opposto, senza però frenare questa sua instancabile ricerca.
Gli esseri umani sono così spenti e vuoti che si prestano addirittura ad essere dei mezzi fisici tra un operatore virtuale e il suo cliente.
Samantha è il sistema operativo che forse molti di noi vorrebbero per poterlo spegnere e accendere a proprio piacimento. Ma Samantha proprio perchè è un sistema operativo virtuale ama allo stesso tempo moltissime altre persone e comunica con più di seimila individui a parte Theodore, "cresce come una macchina" e il suo bisogno irrefrenabile di conoscere e scoprire è sorprendente quanto dannoso per l'uomo che ci si affezziona.
Addirittura Samantha vuole così bene al suo cliente, da trovare un tramite che possa metterla in contatto con il suo amore (la scena che citavo prima è davvero estrema, un continuum sulla consumazione dei corpi, ma qui visto con una solitudine alla base davvero alienante e disarmante).
Da vedere religiosamente in lingua originale (anche la voce della Johansson è dannatamente sexy) l'ultimo lavoro di Jonze è perfetto, privilegia la scrittura, non si perde nel culto ossessivo della scenografia e dell'oggettistica, mantenendo un'assoluta aderenza alla storia che deve raccontare.
Her non è mai scontato, ci porta sulle cime di grattacieli per aumentare ancora di più un'impressione di vuoto e di apparenza, quello stesso vuoto perfettamente scandito dallo sguardo del protagonista. Dietro le lenti e dentro le giacchette e le camicie colorate (ci crede a dare colore alla vita) Theodore riflette ciò che non può fare, ben consapevole che sia una scelta sua, ma in gran parte derivata dalla società del silenzio e dell'apparenza.
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