Regia: Arthur Penn
Anno: 1975
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
L’investigatore Harry Moseby, dalla vita familiare tormentata, deve rintracciare la sedicenne Danny, figlia di un’ex attrice del cinema. Danny è dal patrigno, in Florida. La tragica e misteriosa morte dell’amico Marv la convince a tornare da mamma, ma da qui prende il via una catena di delitti. Moseby ha messo le mani senza saperlo su un traffico di opere d’arte in cui è coinvolta troppa gente
Scritto da Alan Sharp, il film di Penn esce in un periodo davvero interessante dal punto di vista del noir americano proponendone una rilettura rilettura, più critica e malinconica cambiando di fatto la struttura e l'archetipo dell'investigatore privato.
Se da un lato il Jimmy 'Papà' Doyle di Friedkin, uscito nello stesso anno, aveva dei connotati ben diversi e per certi versi più violenti, l'Harry Moseby sembra veicolare da un'altra parte in un ruolo più sofferto e malinconico, meno fisicamente “tutto d’un pezzo” ma invece diventando pedina inconsapevole di processi sfuggenti e più grandi di lui come capita per il Jake "J.J." Gittes di Polanski, capendo troppo tardi, quando non ha più modo di intervenire, le dinamiche di cui è vittima stessa.
Ma mettendo da parte l'analisi sul detective, il contributo di Penn al genere e delle interpretazioni davvero efficaci, bisogna anche ammettere che il film, a differenza proprio di alcuni suoi coetanei, manca dopo il primo atto di un coinvolgimento appropriato diventando spesso un intreccio confuso, incapace di mordere dove dovrebbe, riuscendoci forse in un finale davvero cattivo.
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