Titolo: Resa dei conti a Little Tokyo
Regia: Mark L.Lester
Anno: 1991
Paese: Usa
Giudizio: 3/5
A Los Angeles si è insidiata la Yakuza guidata dal truce Yoshida. Tra i suoi nemici spiccano due poliziotti, Chris Kenner, un americano cresciuto in Giappone, di cui ha assimilato lingua e costumi, e Johnny Murata, un nippo-americano cresciuto in California. Entrambi sono esperti di arti marziali. Yoshida costringe l'affascinante cantante del locale "Bonsai" Minako Okeya a stare ai suoi ordini. Kenner riesce a salvarla e la porta nella sua casa di campagna, dove i due s’innamorano. Ma i banditi li sorprendono e dopo una violentissima sparatoria, li catturano, portandoli in un deposito di auto, sottoponendoli alla tortura. A quel punto la lotta contro il crimine diventa una battaglia molto personale che i due protagonisti dovranno vincere a tutti i costi.
Di cazzate come queste il cinema dovrebbe esserne pieno eppure non è affatto così.
Showdown in Little Tokyo è il tipico esempio di come le cazzate possano sorprendere, non certo per la loro originalità, ma per il fatto che aboliscano ogni frontiera di qualsivoglia genere distruggendo il polizziottesco, portando all’apoteosi l’action più sfrenato e irreale possibile, una comicità banale e la solita cozzaglia di luoghi comuni e frasi fatte di cui sono costellati principalmente i dialoghi.
Lester non è un autore ma è il tipico mestierante che ha saputo regalare alcune perle e cult mica da poco come COMMANDO,CLASSE 1999 e CLASSE 1984.
Diciamo che azione+violenza+sparatorie infinite con caricatori infiniti+solito spirito reazionario americano contro i gialli+fighe da urlo(Tia Carrere non si può vedere per quanto è figa). Poi c’è il classico duro infallibile che sa che tanto niente gli farà la pelle(ogni tanto Lungren si accorge forse che i colpi dovrebbero finire e quindi infila per dovere della verosimiglianza un caricatore trovato nel calzino), oppure come dimenticare la sequenza iniziale in cui lui lo sbirro impavido e che lavora come sempre “da solo” entra con una liana in un ring durante un incontro clandestino di arti marziali. Ma come si può sottrarsi a tale tamarria quando poi addirittura compare il defunto Brandon a dare manforte anche se con dei calci leggermente troppo sottotono.
Resa dei conti è un cult, la summa di tutto quello che non si dovrebbe fare ma che invece si vuole vedere deliziati da una povertà di linguaggio abissale e con così tanta ignoranza inside da sconvolgere una platea di devoti alla madonna di Lourdes.
Alcune scene poi come la cultura di Chris verso le tradizioni giapponesi è così assurda da far scoppiare in un mare di risate ogni volta che apre la mascella e come guardando attraverso il binocolo intuisce il rito di harakiri sapendo naturalmente tutto a riguardo.
Ho letto poi che il duo non andava mica tanto d’accordo.
In realtà nutrivano antipatie reciproche; soprattutto pare che l'attore svedese detestasse il collega per la sua «insopportabile arroganza e le pose da fichetto»(Wikipedia)
Nonostante tutto diventa quel classico e instancabile film che visto una volta ogni cinque anni quasi come una leggenda giapponese fa rivivere al contempo stesso favola tamarra e aberrazione più totale.
Un sacrilegio che merita la palma d’oro.
trashorama puro,dio mio che film del menga !
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