Titolo: Bunraku
Regia: Guy Moshe
Anno: 2010
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
In un mondo nel quale le pistole sono vietate - pena la
morte - e la spada è l'arma dominante, Nicola il taglialegna è il più potente
uomo a est dell'Atlantico, un boss del crimine che governa con pugno di ferro e
con l'aiuto di sua moglie Alexandra, di nove assassini e della Banda Rossa. Il
suo braccio destro, Killer # 2, è un assassino glaciale e senza pietà che
terrorizza una popolazione speranzosa nell'avvento di un eroe in grado di
rovesciare il tiranno. Una notte, un misterioso vagabondo si presenta con
l'obiettivo di uccidere Nicola. Poco dopo un altro straniero, un samurai di
nome Yoshi, arriva per vendicare il padre recuperando un talismano rubato
al suo clan da Nicola. E' l'inizio di un viaggio, di alleanze e scontri
incredibili...
E’difficile esprimere un’opinione sul secondo film di
Moshe. Innanzitutto la distribuzione ha avuto parecchi problemi e finora e
possibile trovare il film solo sul web.
Una trama semplice quanto inconsistente. Un frullato di
luoghi comuni e scene copiate perlopiù da altri film. Una voce narrante che
spiazza se si pensa alla povertà di idee del film.
Un cast interessante (Hartnett, Perlman, Moore, Harrelson)
che gigioneggia senza trovare una linea comune.
Degli intenti lasciati per strada e una regia che cerca
di cambiare di continuo prospettiva al film.
Bunraku è pasticciato e cerca a tutti i costi, un’originalità
che non arriva nemmeno per qualche minuto.
Visivamente cerca di omaggiare svariati film cercando la
strada del noir e cercando di coniugarla con l’action puro e stilizzando ogni
frame per dargli una sua spinta originale. Il linguaggio è quello dei comics,
con delle scenografie iper-stilizzate e fotografate con un’invidiabile scia di
colori.
Ancora una volta il vagabondo western che si mischia con
le ambientazioni giapponesi e i tanto amati samurai della situazione. Un
miscuglio di generi verosimilmente già partorito e già visto in svariate
pellicole.
La speranza poi di omaggiare film come KILL BILL o SIN
CITY o peggio ancora quella ciofecata di THE SPIRIT, altro non fa che
riprendere qualcosa di già visto e nel viaggio dell’eroe si perde quella vena
originale che Moshe poteva portare avanti mettendoci del suo.
Se pensiamo che poi le location si alternano come veri e
propri Origami oppure come il colorato libro del barista, un Pop-up di quelli
che aprendosi svelano tridimensionali mondi all’insegna del fantastico, allora
la speranza di omaggiare il teatro kabuki diventa un’operazione davvero
scapestrata e confusa.
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