Titolo: Ong Bak
Regia: Prachya Pinkaew
Anno: 2003
Paese: Thailandia
Giudizio: 3/5
Giudizio: 3/5
Ong Bak si riferisce alla statua di un Budda che si trova nel tempio Nong Pra-du, nelle campagne thailandesi. La statua risale al periodo della guerra contro la Birmania, 200 anni fa, e i contadini credono che sia dotata del magico potere di proteggerli dalle disgrazie. Ma un giorno la statua viene rubata da un uomo d'affari senza scrupoli che la vende ad una cifra esorbitante. Il giovane Boonting si metterà sulle tracce del ladro per riportare al tempio il suo posto il prezioso tesoro.
La prima avventura di Tony Jaa mostra subito cosa vuole comunicarci l’atleta indiscusso di Muay Boran. Combattimenti dinamici e spettacolari con tanto di coreografie che hanno saputo sintetizzare perfettamente l’efficacia dello stile marziale, la scena nel locale con i tre combattimenti di fila è qualcosa di divino paragonabile alla statua del Budda che tutti i thailandesi venerano.
Originale, forse un po’ troppo didascalico in alcune parti ma il risultato c’è eccome in tempi di carestie marziali in cui sembra che tutto sia già stato detto dalle basi del genere, gli anni ’70, per poi rimarcare su alcuni personaggi che hanno saputo continuare la filmografia citando i classici oppure rimanendo entro i canoni prestabiliti del wuxia.
Jaa e socio comunque si vede che hanno visto tanto cinema americano perché difatti la strizzatina d’occhio è rivolta più verso i film americani degli anni ’90 che quelli di matrice e stampo orientale.
Un elemento che incoraggia il montaggio e il ritmo, i rallenty, le diverse angolazioni delle scene di combattimento per dare ancora più spessore alle incredibili capacità del lottatore, i dialoghi tamarri con il socio e la ragazza, sembrano invece fare da paiolo tra l’atteggiamento timido e indifeso del protagonista e quello sbruffonesco ed egoista della società in generale che sembra voglia mangiarsi Boonting come si fa per i cervelli di scimmia.
A dispetto di alcune cadute di stile, dialoghi e alcuni passaggi che come dicevo rimangono troppo didascalici, il risultato per essere un’opera prima non è affatto male, scommette sull’innovatività della disciplina e darà ancora due capitoli successivi completamente diversi dal primo.
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