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venerdì 26 aprile 2024

Cento domeniche


Titolo: Cento domeniche
Regia: Antonio Albanese
Anno: 2023
Paese: Italia
Giudizio: 4/5

Antonio Riva è un operaio specializzato in prepensionamento, che va ancora in fabbrica ad insegnare (gratis) il mestiere ai più giovani. Accudisce la madre affetta da demenza senile, è in buoni rapporti con la ex moglie e ha un'amante sposata che si vuole divertire. Quando la figlia Emilia annuncia il suo matrimonio Antonio è felice di provvedere ai costi della cerimonia, perché quello di portare la sua bambina all'altare è sempre stato il suo sogno, e il gioco preferito di entrambi. Così si reca in banca per prelevare dal conto su cui ha messo tutto ciò che ha, ma il direttore gli consiglia invece di fare un prestito con una finanziaria e non disfare le sue azioni, che stanno "viaggiando". Ma Antonio non possiede azioni, o meglio, non si è reso conto di aver tramutato le sue obbligazioni sicure in azioni a rischio, passando da risparmiatore ad azionista su consiglio di quella banca dove gli impiegati erano di famiglia, e che aveva sostenuto lo sviluppo dell'intero paesino sul lago di Lecco dove è nato e cresciuto. Quella banca, poi, mica può fallire, perché se fallisse "andrebbero a gambe all'aria tutti quanti".
 
Come un film italiano arriva a chiamare in causa UN GIORNO DI ORDINARIA FOLLIA per citarne uno su cento che parlano di drammi sociali.
Follia all'italiana, cinema civile, in una storia che riesce a prendersi sul serio portando a galla un dramma coinvolgente e intenso, una storia che parla di un problema molto sentito nel nostro paese e che bisognava esplorare a fondo cercando di capire come alcune dinamiche quando vengono portate al paradosso possano avere effetti perversi e conseguenze inattese sfinendo un uomo al punto di farlo completamente impazzire. Una catarsi nell'animo umano volendo gettare un'ancora di speranza su tutto quello che di buono ancora c'è negli individui prima che venga spazzato via dalle spietate logiche di mercato.
Ancora una volta un'ottima prova attoriale di un artista in grado di incarnare perfettamente con tutte le sue sfumature un uomo comune e quei valori che ancora vogliono farci sperare che si possa ancora credere nell'altro, nell'empatia e nella buona fede

sabato 1 agosto 2020

Mery per sempre

Titolo: Mery per sempre
Regia: Marco Risi
Anno: 1989
Paese: Italia
Giudizio: 3/5

Un insegnante di quarant'anni appena divorziato accetta di lavorare nel carcere minorile Malaspina. L'uomo cerca di instaurare un nuovo rapporto con i giovani detenuti, ma i suoi sforzi vengono ostacolati dai più riottosi di essi e dal direttore della prigione che non approva i metodi permissivi del nuovo venuto. Alla fine però i fatti danno ragione all'insegnante.

Risi a parte aver sondato il malessere giovanile con RAGAZZI FUORI e IL BRANCO con il film in questione ha cercato di fare un certo tipo di cinema politico e di denuncia soprattutto negli ultimi anni anche se il suo capolavoro rimane Ultimo Capodanno tratto dal romanzo di Ammaniti.
Un regista che ha saputo parlare di drammi sociali, diseguaglianze, corruzione, mafia e politica e poi ha girato quella commedia grottesca davvero ironica e recitata da una galleria di attori tutti in parte. 
Qui la location è il carcere minorile, i temi sono il disagio giovanile, l'accettazione del diverso (Mery) interpretata da Alessandro diventata poi Alessandra Di Sanzo.
Risi riesce a fare un ottimo lavoro in un film per certi versi neorealista con un cast misuratissimo e funzionale alle esigenze con quei ragazzi che troveremo anche nei film successivi e dando grande margine di sfogo a Michele Placido. La bravura del regista consiste nel proporre situazioni anche di per sé scabrose come quando il professor Marco Terzi bacerà proprio Mery in bocca e momenti assai pesanti come gli scontri tra i detenuti o la scena in cui Natale sporca con il pennarello il viso del professore (scena per altro molto lunga e lenta) con allusioni e tocchi misurati che lo rendono un piccolo miracolo tra i film che trattano questo fenomeno. 
Il degrado di Palermo è connotato da un pessimismo di fondo che accompagna la narrazione delle varie vicende di questi ragazzi costretti per motivi diversi a dover convivere all'interno del carcere Malaspina del capoluogo siciliano. 
Un luogo poco accogliente a giudicare dagli interni nonché dalla violenza a tratti smisurata delle guardie carcerarie. Finale drammatico con la morte di Pietro che non vediamo ma con l'happy ending di quella lettera di trasferimento strappata.