Titolo: Ghoul
Regia: Patrick Graham
Anno: 2018
Paese: India
Stagione: 1
Episodi: 3
Giudizio: 3/5
In una remota prigione militare arriva
un nuovo detenuto che il governo ritiene molto pericoloso: è il
temuto terrorista Ali Saeed Al Yacoub. Per condurre il suo
interrogatorio viene inviata sul posto una donna soldato, Nida Rahim,
che ha dimostrato in precedenza abilità e senso del dovere al di
fuori della norma, tanto da aiutare le autorità ad arrestare il
proprio padre. La giovane agente, però, si renderà conto che il
criminale nasconde delle abilità soprannaturali di matrice demoniaca
che gli consentono di conoscere i segreti più intimi di tutti i
militari nel carcere e di utilizzarli contro di loro. Il terrorista
prenderà il controllo dell'intero carcere, ma Nida riuscirà ad
affrontare questa nuova missione?
Le mini serie quando hanno temi accattivanti sono le benvenute a dispetto di serie infinite con ad esempio 20 episodi a stagione.
Il tempo è importante. Ghoul si trova
tra Netflix e Blumhouse (che stimo sempre di più per il loro
coraggio). Il risultato è un prodotto d'intrattenimento interessante
sotto certi aspetti, che cattura un taglio internazionale pur essendo
un prodotto indiano, una cinematografia, che tolta Bollywood da noi
non è ancora molto conosciuta quando invece dovrebbe vista l'enorme
capacità di avvicinarsi e indagare il noir, il poliziesco e
l'horror.
In questo caso ci sono diversi aspetti
che decretano un significativo passo avanti per le produzioni e per
cercare di sfruttare il tema della possessione, che andrà sempre di
moda, e mischiarlo con un futuro distopico ( che poteva anche non
esserci dal momento che risulta slegato in parte dalla vicenda), una
scenografia quasi interamente in una prigione e il folklore locale
legato alla storia dei demoni Ghoul o Jiin onnipresente anche in
Medio Oriente.
Diciamo pure che Graham aspetta un po
prima di concedere azione e ritmo in abbondanza.
Il primo episodio parte in sordina
facendo incetta di particolari, alcuni utili, altri trascurabili per
andare subito a raccontare i personaggi e la piramide sociale
presente nella prigione, con tutte le regole e i ruoli che la donna
piano piano comincia a ricoprire. In questo caso anche il tema del
terrorismo per quanto ultimamente risulti abbastanza abusato è
funzionale, come scusa per lo stato ad usare qualsiasi mezzo contro i
prigionieri o presunti complici, facendo soprattutto leva sui parenti
e sulle minacce.
L'aspetto su cui ruota meglio la
vicenda legata proprio alla caratterizzazione della protagonista, una
poliziotta cazzuta che pur di aiutare la giustizia arriva a
denunciare il proprio padre.
Ci sono diverse sotto storie, alcune
delle quali ho trovato macchinose o abbastanza inutili al ritmo della
vicenda, che quando parte, sa sicuramente avere un ottimo ritmo,
senza mai essere pretenziosa, cercando invece di restare incatenato
alle sue radici.
Sinceramente mi aspettavo qualche jump
scared maggiore, contando che dalla metà del secondo episodio è
quello l'obbiettivo del regista.
La mattanza avviene con alcuni twist
finali abbastanza telefonati a parte l'epilogo che ho trovato
interessante, crudo e spietato nella sua logica perversa a danno di
un'altra logica legata alla corruzione e all'abuso di potere del
governo indiano.