Titolo: Black Rabbit-Season 1
Regia: Jason Bateman, Justin Kurzel
Anno: 2025
Paese: Usa
Stagione: 1
Episodi: 8
Giudizio: 3/5
La storia si apre con un brindisi che si incrina all'improvviso: la notte inaugurale di un ristorante-culto a Manhattan, un discorso di Jake Friedken e, subito dopo, un'irruzione armata che congela tutti sul posto. Da lì la serie torna indietro di un mese: Jake, ex musicista diventato imprenditore, sta preparando l'espansione del locale mentre suo fratello Vince riappare con addosso debiti, ricadute e vecchie dipendenze. Il loro ricongiungimento mette in moto una catena di favori, menzogne e accordi opachi che trascina ogni personaggio verso l'evento annunciato dal prologo.
Black Rabbit ha il fascino di non raccontare quasi niente rendendo però tutto il resto così dannatamente affascinante. Frutto di un'estetica molto ricercata, un lavoro molto ben costruito per quanto riguarda riprese meticolose e sound designer, location praticamente perfette, uno stile sotterraneo che mostra l'underground statunitense e poi baldoria, locali, feste, discoteche, uno sguardo post moderno a una massa di persone che sembrano uscite dallo Studio 54.
Jude Law e Jason Bateman per una volta fanno a gara su chi sia più bravo e devo dire che entrambi danno il meglio di quanto potessi sperare.
Una fratellanza interrotta, ostinata, che non trova valvole di sfogo fuori dal proprio perimetro, debiti di gioco, mafie dell'est coinvolte e anche il montaggio dei primi episodi tende a dilatare: durate generose, ritorni temporali a ridosso dei picchi di tensione, sotto trame che rimbalzano alla stessa intensità fino a consumarsi. Paradossalmente, quando la serie esce dal buio e corre alla luce del giorno negli episodi finali, l’energia cambia: l’azione si compatta, gli spazi di Brooklyn respirano, la tensione diventa fisica e leggibile. In quel tratto la regia trova ritmo, chiarezza e respiro, come se Black Rabbit si ricordasse all’improvviso che oltre a premere l'acelleratore deve anche saper raccontare.

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