Titolo: Motherless Brooklin
Regia: Edward Norton
Anno: 2019
Paese: Usa
Giudizio: 2/5
New York, anni Cinquanta. Lionel Essrog lavora presso il
detective privato Frank Minna, che l'ha salvato da un orfanotrofio insieme ai
suoi compagni dell'agenzia di investigazioni. Lionel ha una memoria prodigiosa
e una capacità estrema di collegare i puntini, qualità che, insieme ad una lealtà
incrollabile, l'hanno reso molto caro al suo capo. Purtroppo però è anche
affetto dalla sindrome di Tourette, che gli fa sentire nella testa la voce di
uno spiritello anarchico che lo chiama Bailey e gli fa produrre suoni, versi e
parolacce totalmente fuori controllo. La frammentazione caotica che Lionel ha
in testa fa il paio con il puzzle che dovrà affrontare quando Frank Minna verrà
ucciso, e lui dovrà scoprire il motivo e i mandanti di quell'omicidio: e al
centro del puzzle troverà anche Laura, una bella attivista per i diritti della
comunità afroamericana.
Voglio bene a Norton sul serio. Negli ultimi anni come
capita per gli attori americani sbagliando alcuni film e non incassando e stato
messo in uno sgabuzzino. Da lì ha cominciato a tessere un noir che ha richiesto
molto tempo, troppo direi contando che parliamo di dieci anni, denaro,
maestranze, un cast tutto sommato funzionale per arrivare a dirigere e
interpretare un anti eroe un po’ sfigato con questa particolarità della
sindrome di Tourette che purtroppo essendo un cultore di Southpark non ho
potuto non pensare all’unico e inimitabile Eric Cartman.
E’simpatico vedere Edward fare le faccette che tanto ama
e che ha rifilato in molti personaggi della sua interessante filmografia, ma
l’inesperienza e l’aver voluto puntare troppo in alto si sono rivelate scelte
che hanno appesantito e reso noioso un film che non doveva esserlo.
Dal punto di vista tecnico il film non fa una piega e i
nomi che svettano nel cast non hanno bisogno di presentazioni, ma la natura
tormentata del protagonista sembra una maledizione che rende il film
eccessivamente lungo, con troppa musica, sfilacciato, noioso e ripetitivo con
un secondo atto che fatica trascinandosi spesso per inerzia nel profondo delle
periferie di Brooklyn senza mai riuscire a colpire per colpi di scena e con un
climax tutto sommato prevedibile.
Sembra strizzare l’occhio a Scorsese nel voler fare uno
spaccato di una metropoli ma senza riuscirci e non avendo quel talento, cerca
di diventare criptico e complesso sfidando il noir alla Polanski o Altman e
infine forse voleva dare l’impressione di infilare tra una pausa e un’altra una
mezza storia d’amore con l’afroamericana di turno impegnata nei diritti umani
che riesce ad essere solo melensa e scontata.
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