Regia: Jane Campion
Anno: 2012
Paese: Australia
Episodi: 7
Stagione: 1
Festival: TFF 32°
Giudizio: 4/5
La dodicenne Tui Mitcham, figlia di Matt Mitcham, arrogante boss del circondario, e della sua terza moglie, una barista tailandese, s'infila nelle acque gelate di un lago montano, cercando la morte. Recuperata in tempo, finisce alla polizia, dove si scopre che è incinta di cinque mesi ma non ha intenzione di rivelare il nome del padre. La giovane detective Robin Griffin, che ha lasciato l'America per fare ritorno per un periodo nel paese d'origine, assume il caso di Tui, prendendolo a cuore. Ma la ragazzina scompare nel nulla. Robin si mette sulle sue tracce e, addentrandosi nella conoscenza delle persone del luogo, si rende presto conto che trovare Tui significa anche e soprattutto scoprire se stessa e una parte di sé e del proprio passato tenuta a lungo nascosta.
Sono rimasto davvero sorpreso e potrei quasi dire elettrizzato trovandomi di fronte a questa mini-serie presentata prima al Sundance Film Festival e poi al TFF. Direi che c'è quasi tutto in questo solido dramma che richiama così tante tematiche, approfondimenti, archetipi che sembra sempre alzare la posta minuto per minuto, diventando più che mai un'indagine assurda che spiazza continuamente lo spettatore.
Il colpo da maestro dell'autrice in questione insieme a Gerard Lee è quello di aumentare l'impianto della semina creando di fatto continui colpi di scena e alcuni climax davvero funzionali, oltre che essere originali e piuttosto inquietanti.
Top of the Lake non è solo un'indagine atavica, un viaggio in una terra selvaggia ancora per certi versi sconosciuta e nascosta come quello della Nuova Zelanda, è non è solo mitologia in chiave post-contemporanea e un certo retroterra culturale ma soprattutto è una serie breve e autoconclusiva come da tempo non si vedeva.
Credo sia una delle serie migliori di sempre per l'enorme impronta autoriale, per la libertà di sviluppare una narrazione assolutamente fuori dalle righe, di prendersi cura della dilatazione dei tempi per poi di colpo mostrarti la cruda realtà senza sbalzi o scene madri particolarmente movimentate, ma introducendosi nella mente dello spettatore che non può fare a meno di essere interessato alla sorte dei vari personaggi, tutti, vittime e carnefici.
La comunità in un posto anonimo con tutte le sue storie, i suoi innumerevoli personaggi, i bifolchi che appaiono forse per certi aspetti come il pericolo minore e alcuni gruppi di persone e agenti federali che agiscono in modo del tutto atipico.
Uno sguardo assolutamente femminile visto attraverso la protagonista, una convincente Elisabeth Moss già vista nella serie FEAR IT SELF , una bambina Tui, una guru, la rediviva Holly Hunter in stato di grazia assieme a Peter Mullan(come non lo avete mai visto) e dunque in chiave generazionale diverse donne tutte maledettamente interessanti.
Certo non è stato facile è il risultato è stato prodotto dall’unione degli sforzi (e dei soldi) della BBC Two, della UKTV (australiana) e del Sundance Channel americano.
Alternativo, potrebbe ai più apparire sconsclusionato, noioso e a tratti quasi patetico.
Secondo me è un giallo che si prende la briga di scavare nel sottoterra di una comunità ed evidenziarne gli assurdi accettati come norma dai membri.
E'un viaggio incredibile dentro noi stessi, spettacolare, simbolico, suggestivo ed appassionante, un continuo pugno allo stomaco che anche dopo averlo finito di vedere continuerà a stuzzicarvi il palato, quasi come se fosse stata un 'avventura che lo spettore intraprende lasciandosi completamente trasportare nella magnifica mente di una magnifica autrice.
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