Titolo: Gerber Syndrome
Regia: Maxi Dejoe
Anno: 2011
Paese: Italia
Giudizio: 3/5
Un nuovo virus tiene in scacco l'Europa. Decisamente peggiore dell'influenza aviaria e di tutte le altre pandemie che hanno allarmato le organizzazioni sanitarie mondiali, il morbo di Gerber è una malattia a metà tra un'influenza e l'Aids. Scoperto in Germania nel 2008 e ormai diffuso in tutto il mondo, si contrae entrando in contatto con sangue o saliva infetti e si manifesta con una febbre molto alta e aggressiva. Ma ben presto la sindrome di Gerber rende gli esseri umani simili a zombie. Il virus si sta diffondendo a macchia d'olio, perché gli infetti perdono il controllo e tendono a essere violenti, attaccando chiunque capiti loro a tiro. Una volta contagiati, non c'è scampo. Il terzo stadio della malattia conduce, infatti, alla morte. Ecco perché è stato istituito un centro sanitario dedicato, il CS, in cui i malati vengono messi in quarantena e allontanati definitivamente dalla società. Una troupe televisiva decide di realizzare un documentario su questo nuovo e temibile virus, seguendo il lavoro di Luigi, un ventitreenne addetto alla sicurezza, incaricato di intercettare gli infetti segnalati e portarli al CS, e quello di un medico in prima linea, il dottor Ricardi, che si sta occupando del difficile caso di Melissa, una ragazza contagiata accidentalmente.
Ultimamente ho visionato davvero parecchi horror italiani e di questi forse uno dei primi con venature sci-fi riuscito è questo Gerber Syndrome di un giovane regista torinese.
Un film maturo, certo che soffre ancora di tutti i difetti di un'opera prima, ma che dall'altra è un bene perchè mostra comunque la voglia e l'interesse di cercare di dare una propria impronta e sapersi imporre con uno stile personale.
Dopo alcuni corti passati al TFF arriva l'esordio con il suo primo lungometraggio.
Il film è stato girato low-budget con un manipolo di attori sconosciuti ma funzionali, ed è ottimo in questo caso l'aver preso nomi non noti (penso soprattutto legato ad un problema di budget) ma che in realtà aiuta ancora di più lo spettatore nel duro lavoro dell'immedesimazione che noi viviamo e assistiamo sotto gli occhi di un medico, di una guardia e di una ragazza malata e il suo toccante dramma famigliare.
Mai banale ed evitando come la peste inutili soluzioni che debbano far versare una lacrimuccia, il film è un mockumentary quasi tutto telecamera a spalla che sembra adattarsi alla forma scenica di altri film horror recenti.
Mi è piaciuta molto l'idea di non mettere in scena zombie o creature create dallo stesso virus ma invece qualcosa di molto più reale, molto più vicino, che attaccando il sistema nervoso, porta ad una paura primordiale anche molto più sentita nello spettatore perchè fondamentalmente più vera e vicina a noi.
Un film sul contagio e sulla pandemia, tema che oggi, insieme al cinema post-apocalittico, sta diventando una delle risorse petrolifere più saccheggiate dall'industria cinematografica e dagli autori internazionali.
Per fortuna che i risultati finora visti segnano un risultato che lascia ben sperare.
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