lunedì 29 ottobre 2012

Riki-Oh-The Story of Ricky



Titolo: Riki-Oh-The Story of Ricky
Regia: Lam Ngai Kai
Anno: 1991
Paese: Cina
Giudizio: 3/5

In un futuro imprecisato le prigioni sono state privatizzate e quella in cui è ambientata la vicenda è stata affidata al potente e spietato Sugiyama e al suo sottoposto Cyclops. Dentro al carcere quattro criminali, grandissimi esperti nelle arti marziali, hanno instaurato un vero e proprio clima di terrore e con il placet del direttore hanno sterminato parte dei detenuti più mansueti. Però la situazione cambia con l'arrivo nella prigione di Riki Oh, un ragazzo di 21 anni condannato a 10 anni per aver assassinato un boss della droga, il quale gli aveva ucciso la fidanzata. In poco tempo Riki, grazie alla sua forza sovrumana e alla sua incredibile tecnica di combattimento, riesce a sgominare prima i quattro criminali più cattivi, poi, dopo un'estenuante lotta, uccide il crudele direttore, sotto le cui sembianze in realtà si celava un essere mostruoso. Diventato il paladino di tutti i detenuti, Riki Oh assume il controllo del carcere per distruggerlo e dare ai tutti i suoi compagni la libertà.

Il film si basa sull'omonimo manga giapponese Riki-Oh, creato nel 1988 da Masahiko Takajo e illustrato da Saruwatari Tetsuya.
Il motivo per cui Riki-Oh è diventata una chicca del cinema di arti marziali degli anni ’90 è sicuramente la brutalità delle scene di violenza e la grossa vena splatter che sembra configurare tutti i combattimenti del film.
Al di là della trama che seppur con qualche trovata interessante è di un piattume inconsistente, Kai sfrutta proprio questa banalità per cercare di buttare tutto sulle scene di combattimento e sull’esagerazione più totale in campo di arti strappati e organi usati come vere e proprie armi.
Uno dei film più trash e da un certo punto di vista, involontariamente rivoluzionario nella sua presa di posizione. Quello che lo spettatore vuole vedere e il cammino dell’eroe che come per un Bruce Lee di serie Z, vede il protagonista combattere in una piramide di forza in cui il boss finale altro non è che il direttore.
Quest’ultimo poi sembra rubato da una delle tre bufere del capolavoro di Carpenter GROSSO GUAIO A CHINATOWN.
Tutto il film è costellato da assurdi inimmaginabili come il training del protagonista che si addestra facendosi tirare delle lapidi sulla schiena, oppure un certo messaggio sul consumo di droghe e delle coltivazioni di oppio contro le quali Riki si accanisce con inusitata violenza e una nota anarchica nel finale in cui con un pugno Riki distrugge il muro del carcere.
Se si pensa che il regista ha potuto sfruttare tutti gli eccessi possibili e immaginabili con pochi soldi allora non ci si può esimere dal definirlo una perla trash del cinema di Hong Kong.

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