Titolo: Meute
Regia: Franck Richard
Anno: 2010
Paese: Francia
Giudizio: 3/5
Nel bel mezzo di
una nevosa terra di nessuno, Charlotte conosce il viandante Max. I due decidono
di fermarsi in un motel e di passare la notte in una camera. Dopo cena però
l'uomo non rientra e Charlotte esce a cercarlo invano. Quando la donna fa
ritorno viene però rapinata dalla barista, La Spack, che scopre essere la madre
di Max. La rivelazione verrà presto seguita da una scoperta ancora più
terrificante che Charlotte dovrà affrontare per sopravvivere.
Horror
underground di quelli che anno bisogno di infarcire la pellicola con continui
rimandi al cinema di genere e con un citazionismo veramente esagerato contando
le tre diverse strutture che compongono il film. Addirittura è stato uno di
quei pochi film della fortunata “nouvelle vague horror francese” ammessso a
Cannes e piaciuto sia alla critica che al pubblico. Ecco, questo è un chiaro
esempio di come l’horror, da sempre considerato un genere inferiore, sta
riuscendo ad approfondire una feroce critica sull’animo umano e via dicendo.
Non siamo più solo al cospetto di monster-movie oppure generi analoghi ma
qualcosa di ben diverso che parte da una storia reale per sfociare in un
delirio con evidenti richiami al torture-porn, allo splatter e strizza l’occhio
a Romero e simili (evito gli spoiler ma l’ultima parte a diversi punti in
comune con THE COTTAGE).
Se è vero che i
dialoghi non approfondiscono molto e la caratterizzazione dei personaggi sembra
alle volte lasciata alla fantasia dello spettatore (madre,investigatore e i
figli della madre) il resto seppur con alcuni limiti funziona e il reparto
tecnico così come la location e le scenografie sono davvero funzionali.
Il citazionismo
citato all’inizio diventa l’assurdo che molti criticano mentre dall’altra parte
diventa terreno fertile per esagerare di continuo senza mai dare il tempo alla
pellicola di decellerare.
Un risultato
comunque buono per l’esordiente Richard. Certo non è Du Welz, Gens o Laugier ma
se contiamo che questo è il suo primo film allora c’è da sperare bene.
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