Titolo: Babushkas of Chernobyl
Regia: Holly Morris
Anno: 2016
Paese: Usa
Festival: Cinemambiente 19°
Giudizio: 4/5
Nella zona morta radioattivo
circostante di Chernobyl reattore n ° 4, una comunità di sfida
delle donne gratta fuori una esistenza su alcuni dei terreni più
tossici sulla Terra. Esse condividono questo indimenticabilmente
bello, ma letale, paesaggio con un assortimento di
intrusi-scienziati, soldati, e anche amanti del brivido
stalkers-giovani che si intrufolano per perseguire giochi
post-apocalittici di videogiochi di ispirazione fantastica. Perché i
personaggi centrali del film, Hanna Zavorotyna, Maria Shovkuta, e
Valentyna Ivanivna, hanno scelto di tornare dopo il disastro,
sfidando le autorità e mettendo in pericolo la loro salute.
Le Babushke sono delle anziane
straordinarie, purtroppo anche loro un ultimo anello della civiltà,
in via d'estinzione, che grazie a questo documentario, ne sancisce
una fine e un'eternità senza tempo. Sembrano alcune tra le ultime
streghe, erboriste, in grado di rispettare e amare una terra
radioattiva che non può che arrecare dolore se altro non si è
disposti a raccogliere.
Eppure queste donne hanno scelto
nonostante i pericoli e senza compagni (alcuni sono morti) di
ritornare nella "loro" terra, sopravvivendo grazie alla
capacità di darsi forza e farcela conoscendo ad esempio ogni tipo di
radice, vivendo senza servizi e con pochissimi aiuti (pensiamo alla
pensione che sembra più un elemosina), raccontandosi e rimanendo
unite e plasmando così il proprio destino e la natura soggettiva del
rischio. Il potere curativo è che l'unione fa la forza.
Lasciate sole e in balia della foresta
soccombono o perdono la voglia di lottare.
Con uno sguardo estremamente umano, il
documentario delle due registe americane, ci porta nella così detta
Dead Zone che circonda la centrale nucleare. Racconta l’incredibile
storia di un gruppo di anziane che hanno deciso di tornare ad abitare
nella loro terra nonostante tutti i rischi dovuti alla radioattività,
trent'anni dopo il disastro di Chernobyl.
Delle cento donne che rimangono, le
registe ne scelgono tre in particolare, le quali ferocemente si
aggrappano alla loro patria ancestrale all'interno della "zona
di esclusione". Mentre la maggior parte dei loro vicini hanno da
tempo abbandonato quei luoghi e i loro mariti sono gradualmente
estinti, questa sorellanza testarda trova il tentativo e il modo di
coltivare una esistenza sulla terra tossica.
Perché insistono a vivere nelle
fattorie che il governo e le radiazioni ucraine e gli scienziati
hanno ritenuto inabitabili? (l'acqua, l'aria, i livelli di radiazioni
nel corpo delle donne a cui alcune si sono dovute sottoporre a
operazioni per curare un tumore alla faringe) e la domanda ancora più
grossa che lascia di stucco governo e istituzioni è come riescano a
tirare avanti, isolate, in un paesaggio post-apocalittico in cui
giovani pazzi vanno a fare le battaglie per assaporare il rischio.
Forse uno dei motivi della loro forza e
tenacia arriva proprio dal loro passato: da carestie forzate di
Stalin nel 1930, attraverso l'occupazione nazista e infine al
disastro nucleare.
Infine l'ultima risposta al
documentario la regala proprio la natura. Straordinaria e ancora dopo
secoli imprevedibile e in grado di portare alla luce risultati e
forme di crescita incredibili e affascinanti come ad esempio lupi,
alci, cinghiali e altri animali selvatici che non si vedevano da
decenni e che sono tornati alle foreste abbandonate attorno a
Chernobyl
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