Titolo: Città perduta
Regia: Jean-Pierre Jeunet
Anno: 1995
Paese: Francia
Giudizio: 4/5
La banda dei Ciclopi (criminali ciechi)
rapisce bambini in un porto fatiscente e li consegna ai Krank che
pagano con occhi artificiali. I Krank prelevano dal cervello dei
bambini i sogni che loro non sanno più fare. Il gigante One si è
visto portare via il fratellino adottivo Denrée e Miette, una
bambina di nove anni, lo aiuterà a ritrovarlo. Film allucinato e
raffinato proposto come opera d'apertura a Cannes nel 1995 e giunto
nelle nostre sale solo nella stagione 1998/99. Il suo difetto sta
forse nell'estrema ricercatezza collegata a un impianto fiabesco. Si
tratta di una miscela che allontana due pubblici in un colpo solo:
quello dei bambini e quello degli adulti.
La città perduta è il tentativo più complesso, la prova più ardua del fuoriclasse francese.
Jeunet è incredibile e il suo talento
straordinario è tale da poterlo tranquillamente inserire tra i più
importanti registi francesi post-contemporanei. Il suo cinema è
unico, una fiaba, un teatro dell'assurdo che lo ha consacrato sia da
parte della critica che del pubblico unanime.
Questa specie di fantasy con venature
horror e grottesche è la summa della cinematografia e degli sforzi a
volte troppo "cervellotici" del regista. Dal punto di vista
scenografico, della scelta del cast, le location, la messa in scena
senza parlare delle musiche che giocano sempre un ruolo chiave nei
suoi film, tutto è bilanciato alla perfezione con quell'attenzione
minimale al dettaglio.
Jeunet allarga la poetica e la fa
incontrare con un film così strano e indecifrabile da inserirlo tra
le opere che verranno odiate a morte dalle produzioni che non
capiranno mai a quale target venderlo.
Ai bambini non piacerà perchè troppo
scientificamente complesso e intellettuale, agli adulti potrebbe in
parte annoiare, mentre ai cinefili si aprirà un nuovo orizzonte e
una nuova chiave di lettura e prospettiva cinematografica onirica e
incredibile del regista.
La pluralità delle tematiche inserite
nel film è stupefacente anche se non sempre vista la mole di
maestranze accorpate, si riesce sempre a mettere a fuoco l'intento e
la psicologia di alcuni personaggi e di alcune scelte narrative.
Per il resto è Arte a 360°, forse
troppo complessa e disarmonica ma alla fine si rimane basiti di
fronte ad un'opera che oltre richiamare tantissimo cinema del
passato, cerca anche di essere un degno precursore e amante del
genere distopico e del genere post-apocalittico e sci-fi.
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