Titolo: E'stato morto un ragazzo
Regia: Filippo Vendemmiati
Anno: 2010
Paese: Italia
Giudizio: 4/5
Giudizio: 4/5
È stato morto un ragazzo è un documentario a sfondo biografico e sociale uscito nel 2010, scritto, diretto, scenografato e montato da Filippo Vendemmiati. Racconta la tragica vicenda della morte del giovane Federico Aldrovandi, studente di Ferrara ucciso nella notte del 25 settembre 2005.
E'doloroso e assai triste confrontarsi con la realtà documentaristica mostrata dalle immagini del documentario di Vendemmiati. I fatti, il muro di gomma e poi il processo sono le tre componenti principali di un lavoro che ha continuato ad andare avanti grazie alle forze di un bacino sociale di persone che non hanno mai smesso di crederci per evidenziare come le forze dell'ordine in un paese come il nostro "dovrebbero" assicurare la giustizia ma..... poi si scopre che spesso e volentieri non è così.
E dunque vedere un ragazzino additato come un tossico e addirittura "indemoniato" quando si sapeva benissimo che non lo era e lasciato come un cane spoglio morto e sanguinante su un marciapiede e una scena che non si dovrebbe mai vedere e che smuove una rabbia che non accenna a scomparire.
Al di là delle violenze subite dal giovane ragazzo bloccato da più agenti che in poco tempo ne hanno causato la morte e qualcosa di spiacevole è non è purtroppo un fatto così straordinario ai giorni nostri soprattutto se non se ne parla o se tutto viene veicolato su una falsa pista come "volevano" che succedesse anche in questa vicenda.
Stefano Cucchi e Gabriele Sandri sono solo alcuni dei fantasmi che a parer mio come per la vicenda in questione non hanno avuto la giusta vendetta nell'aula di tribunale.
Peggio ancora rimangono i fatti sanguinosi della "macelleria messicana" di Bolzanetto ma non voglio uscire troppo dagli schemi.
Vendemmiati va avanti e la sua critica dimostra tutte le falle procedurali, i silenzi, le smentite, i clamorosi colpi di scena, i sotterfugi, per arrivare alla condanna che seppur lieve (3 anni e mezzo per agente mi sembra) lascia interdetti e purtroppo cerca di somatizzare una rabbia primordiale che non si palcherà mai.
Poco tempo dopo sono arrivate poi le condanne per favoreggiamento di un ispettore, un responsabile della centrale operativa e un dirigente. Dunque dimostrare come si cerchi in questi casi di insabbiare le prove e un'altra di quelle realtà spiacevoli.
Due elementi mi sembrano più che mai attuali e degni di nota in questo necessario lavoro del regista ferrarese.
Uno riguarda l'enorme risorsa che ha contribuito alla nascita del processo e alle indagini sulla pattuglia di polizia responsabile dell'episodio.
Una donna africana, la prima testimone oculare, a cui stava per scadere il permesso di soggiorno che ha avuto il coraggio di parlare di fronte al silenzio glaciale di molti cittadini che hanno preferito non ascoltare quelle grida e che grazie a lei ha aperto una falla nella chiusura ermetica della polizia di stato.
Dunque in un periodo di xenofobia così anomalo che sta vivendo il nostro paese e su cui tende a strumentalizzare le coscienze per additare per forza un nemico che invece si scopre essere il più delle volte la vera ancora di salvezza, ecco venire alla luce la carica quanto mai umana di una donna che conoscendo il rischio a cui andava incontro ha deciso di farsi avanti.
In secondo luogo una riflessione sui quattro agenti e una lezione di morale di vita.
Quando sai di avere ucciso qualcuno e lasciato in mezzo ad una strada e sei processato in un'aula di tribunale "se questo è un uomo" mi verrebbe da dire, allora al patibolo dovrebbe avere la coerenza di dire la verità e non mentire fino alla fine cercando un'alibi assurdo.
Questo fa la differenza per la persona in sè, per la famiglia presente in aula, per gli amici e quelli che come noi rimangono increduli e non sanno farsene una ragione.
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