Titolo: Dark City
Regia: Alex Proyas
Anno: 1998
Paese: Usa
Giudizio: 4/5
In un città tetra e buia un uomo si
sveglia nella vasca da bagno di un Hotel. Non ricorda nulla e una
misteriosa telefonata gli dice di scappare. L’uomo fugge; mentre
vaga per le strade, scappando a misteriosi assalitori, tenta
disperatamente di scoprire chi sia, finendo con l’imbattersi in un
mistero che cambierà la vita della città stessa.
Dark City è un film che venne ignorato
e massacrato da critica e pubblico. Proyas dopo il successo mondiale
de Corvo
potè fare di testa sua con un budget di 27 milioni cimentandosi con
una prova difficilissima dove tutto il suo talento visionario e
diverse teorie sugli alieni sembravano essersi dati appuntamento per
questa complessa prova cinematografica.
L'idea di unire il controllo mentale, i
ricordi innestati artificialmente e l’umanità resa schiava
inconsapevole, costretta a vivere in un mondo che non è reale, era
il massimo che ci si potesse aspettare ma l'anno successivo uscì
MATRIX distruggendo in un attimo tutte le ambizioni di Proyas che si
ritrovò con un fallimento al botteghino e un film senza azione che
piacque praticamente a nessuno soprattutto contando il mega video
gioco ludico promosso dai fratelli Wachowski.
Uno dei film più importanti della
scifi degli anni '90 perchè a parte essere di un cinismo fuori dal
normale, questi esseri che ci controllano senza dedicarci nemmeno
così tanto interesse, dimostravano un'aldilà e delle forme di vita
che avevano già le risposte e che in un modo o nell'altro avevano
trovato un bilanciamento nell'universo a differenza nostra
limitandosi a studiarci.
Il dominio che passa attraverso una
scelta fotografica che desatura tutto con dei neri e dei verdi, tali
da rendere le città ormai qualcosa di vecchio che non ha saputo fare
i conti con la realtà cercando per tutta l'esistenza qualcosa di
inutile e cercando risposte la dove la domanda posta era sempre
sbagliata, erano intuizioni prese in prestito dalla fantascienza
degli Urania che stavano avendo un certo seguito per non parlare di
tutte le psico sette nate in quegli anni.
Questo imprecisato futuro retrò
sembrava essere la chiave di risposta della storia che cerca di
osservarci come una specie che non ha mai saputo e potuto evolversi.
Un film che sembrava una delle facciate del cubo di Rubik, dove
dall'altra parte stava per arrivare la trilogia dei Wachowski molto
più colorata e più aderente ad una matrice action con un ingente
uso della c.g mentre qui è praticamente assente se non sfruttata
male e addirittura peggio come il finale.
Un film complesso e stratificato, lento
e minimale nel suo farsi spazio prendendo tutto il tempo necessario
senza correre verso le aspettative del pubblico (deluse praticamente
sotto ogni aspetto lo si possa osservare).
L'idea alla base non era facile e di
sicuro l'intento non era affatto commerciale.
Prendere la deriva dei Grandi Antichi
ovvero alieni che vivono sottoterra (per fare un esempio), i quali
sembrano tirare le fila e governare ogni aspetto della città e della
vita dei cittadini era un argomento già conosciuto ma che Proyas
proprio nello stile e nella ricerca riesce a rendere originale con
edifici che spuntano dalle viscere della terra per poi svettare
possenti nel cielo notturno di color pece, oppure le memorie delle
persone annullate e trapiantate, il tempo regolato da un possente
orologio sotterraneo e infine i costumi e quel senso di sporco misto
ai toni da noir urbano che hanno saputo renderlo un piccolo cult.
Sicuramente il film più importante dell'autore, un ultimo baluardo
prima di essere assorbito dalle produzioni, quegli stessi piccoli
esseri che come burattini ci dicono cosa fare. La sua più grande
paura si era trasformata in realtà.
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